Gli
auguri di Natale, quest’anno, voglio farveli, cari amici miei asincroni corrispondenti, con una
poesia di Jorge Luis Borges, una rara poesia religiosa (intitolata Gv 1,14) di un grande spirito “ateo” (o
forse agnostico) che recitava il Padre Nostro tutte le notti perché l’aveva
promesso a sua madre e leggeva i Vangeli, che amava l’infinito e percepiva
intensamente il mistero dell’esistenza. Una poesia – spero per tutti noi – vale
assai più di ogni altra parola che l’uso ha consunto, perché –quando è vera
poesia – risplende di luce e sgombra i
tardi labirinti della mente che consumano i nostri giorni.
Non sarà questa pagina enigma minore
di quelle dei Miei libri sacri
o delle altre che ripetono
le bocche inconsapevoli,
credendole d’un uomo, non già specchi
oscuri dello Spirito.
Io che sono l’E’, il Fu e il Sarà
accondiscendo ancora al linguaggio
che è tempo successivo e simbolo.
Chi gioca con un bimbo gioca con ciò che è
prossimo e misterioso;
io volli giocare coi Miei figli.
Stetti fra loro con stupore e tenerezza.
Per opera di un incantesimo
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, prigioniero di un corpo
e di un’umile anima.
Conobbi la memoria,
moneta che non è mai la medesima.
Il timore conobbi e la speranza,
questi due volti del dubbio futuro.
Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,
l’ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della mente,
l’amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a
una croce.
Bevvi il calice fino alla feccia.
Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:
la notte e le sue stelle.
Conobbi ciò che è terso, ciò che è arido,
quanto è dispari o scabro,
il sapore del miele e della mela,
e l’acqua nella gola della sete,
il peso d’un metallo sulla palma,
la voce umana, il suono di passi sopra
l’erba,
l’odore della pioggia in Galilea,
l’alto grido degli uccelli.
Conobbi l’amarezza.
Ho affidato quanto è da scrivere ad un uomo
qualsiasi;
non sarà mai quello che voglio dire,
ne sarà almeno un riflesso.
Dalla Mia eternità cadono segni.
Altri, non questi che è il suo amanuense,
scriva l’opera.
Domani sarò tigre fra le tigri
e dirò la mia legge nella selva,
o un grande albero in Asia.
Ricordo a volte, e ho nostalgia, l’odore
di quella bottega di falegname.
Roma
20 dicembre 2014
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