martedì 20 dicembre 2016

Camminando in autunno / 2

In mezzo scorre il fiume
(di Felice Celato)
Prima di scambiarci anche su questo blog gli auguri di Natale (lo faremo fra qualche giorno), vi voglio mettere a parte di alcune emozioni autunnali vissute sempre come C.U.R (Camminatore Urbano Rimuginante).
Prima una confessione, però, per rendervi edotti dell’umore che mi ha accompagnato oggi per le strade di Roma (e forse ha rinvigorito le suggestioni): ero reduce tardivo da un pranzo augurale fra ex colleghi, il cui “capobanda” e ospite-organizzatore è uno dei maggiori gourmand che io conosca. Inevitabile, quindi, l’omaggio patriottico (s’intende!) ai prodotti eno-gastronomici (soprattutto eno!) che-tutto-il-mondo-ci-invidia (per dirla col consueto polifonema cui noi Italiani ci siamo, un po’…ingenuamente, affezionati); e quindi la lunga camminata aveva anche una funzione eupeptica ed espiatoria degli eccessi calorici compiuti con incosciente baldanza.
Bene: in questa beata e blanda euforia, camminando camminando, ho sostato a lungo sul far della sera su un angolo di Roma che io considero fra i più suggestivi della città, il ponte Garibaldi. Sono certo che molti di voi, soprattutto romani, si domanderanno che cosa ci trovi mai di tanto suggestivo sul ponte Garibaldi, il ponte moderno (fine ‘800) che immette da Trastevere verso il centro. Ve lo spiego subito: dunque, sull’angolo estremo verso Trastevere, se vi fermate un momento avrete una sorta di piccola lezione di storia della nostra civiltà (certamente  a Roma non mancano questi scorci, ma questo per me ha un valore simbolico particolare). Sulla destra (venendo dal centro), dietro una corona di platani imponenti che sopra le alte murate accompagnano una piccola curva del Tevere, si staglia lo storico ponte Sisto (la struttura attuale è un rifacimento quattrocentesco, credo dell’antico pons Aurelius), forse il più alto di Roma, elegante nelle sue quattro arcate che si  riflettono (soprattutto di sera) nel Tevere formando  anelli imponenti molto fotografati dai turisti. E dietro il ponte, alta svetta la cupola di san Pietro (disegnata da colui che nuovo Olimpo alzò a Roma ai celesti) memoria – per me – di una fondazione e di una promessa eterna che ancora, ogni volta che me la ripeto (tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam et portae inferi non paevalebunt adversus eam, Mt 16, 18 e s.), mi mette un brivido di forza. Noi siamo parte di quella storia, eredi di quella promessa, fruitori di quella certezza, per quanto indegni ne possiamo essere; e non praevalebunt adversus eam è il nerbo della nostra speranza nel cammino oscuro della storia.
Ti volti a sinistra, verso l’altra riva del fiume e, dietro l’Isola Tiberina quasi trattenuta alla corrente da due piccoli ponti romani (il ponte Cestio e il ponte Fabricio), scorgi, anch’essa imponente, la cupola del Tempio Maggiore (primo ‘900), la sinagoga maggiore degli ebrei romani, che il Tevere separa dall’area una volta extra-cittadina dove, appunto, sorge San Pietro, quasi a ricordare la storica primazia cittadina dell’ebraismo. Dietro alla cupola, appena visibili, si scorgono i fregi alti del Vittoriano di piazza Venezia, simboli pomposi di effimere glorie passate. Le acque del Tevere separano le rive ma non la storia religiosa del nostro mondo (occidentale): le due cupole, tanto diverse per storia e struttura, sono il segno delle nostre radici culturali; dal fiume viene un fisico richiamo al flusso degli eventi (e dell’Evento) che ha segnato le nostre vicende, senza nostro merito e senza altrui colpa. Così è andato il tempo e in mezzo scorre il fiume, silenzioso ma non ignaro.
Roma 20 dicembre 2016


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