lunedì 5 dicembre 2016

5 dicembre 2016

Post referendum
(di Felice Celato)
Come si è votato si è votato. Ci abbiano guidato, in un senso o nell’altro, attente analisi tecniche sul quesito referendario; ci abbiano influenzato le imbecillità propalate da uno qualsiasi dei due schieramenti; o ci abbia ispirato solo la connotazione politica del voto (per o contro l’una ovvero per o contro l’altra “parte”); fatto sta che si è votato (e anche in molti); e il popolo sovrano ha bocciato la riforma che metteva mano a radicali ma non urgenti modifiche dei nostri assetti costituzionali. Il risultato si può commentare in modi diversi e non mancheranno in questi giorni analisi approfondite, più o meno centrate ma certamente più competenti di quella che si possa abbozzare su questo blog che non si occupa direttamente di politica.
Resta, per quanto mi riguarda, il consuntivo amaro di questi tre anni, inutilmente spesi dal paese per rincorrere le modifiche di cui sopra (radicali ma non urgenti) mentre urgevano ben altre occasioni: quelle (irripetibili?) offerte dal livello bassissimo del costo del denaro e dell’energia e dalla ripresa economica europea. Noi, malati di politica politicante, l’abbiamo speso –il kairos di queste occasioni – per cercare di alleggerire i processi legislativi, del resto già così dinamici in Italia (vedasi, qui, Defendit numerus/8 del 1°ottobre 2016); per “far credere” che il voto riguardasse la sconfitta della “casta” o la riduzione dei “costi della politica”; per tentare di riaccentrare una piccola parte delle disperse politiche del paese; per inutilmente modificare – per l’ennesima volta – il sistema elettorale, con una legge dissennatamente centrata solo su uno dei due rami del parlamento (dando per scontato un risultato referendario che non c’è stato), una legge con la quale, presumibilmente, non si voterà nemmeno una volta; per varare ( è questo forse il maggior vanto del governo che oggi si dimette) una promozione dell’occupazione con incentivi fiscali a termine, insomma, per dirla col Censis, un’”occupazione senza crescita”…che nel medio periodo deprime la produttività, determinando di conseguenza una perdita di competitività da parte delle imprese (Rapporto, 2016, pg 156).
Con questo consuntivo in mente, ieri notte abbiamo ascoltato le dignitose e belle parole del Presidente dimissionario, forse l’unico, tardivo tributo ad una democrazia seria alla quale continuiamo ad aspirare, forse inutilmente.

Roma 5 dicembre 2016

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