L’imbecillità, hic et nunc
(di
Felice Celato)
Sono reduce da una lettura che
credevo solo lieve – tanto che l’avevo destinata ad intervallum fra letture molto serie di cui forse vi racconterò in
seguito – ed invece si è rivelata un po’ aspra, anche se in molti passaggi
veramente brillante.
Si tratta di un volumetto appena
edito da Il Mulino (e segnalato su Il
foglio del 29 novembre), scritto da un eminente filosofo, Maurizio Ferraris, e
intitolato L’imbecillità è una cosa seria.
Togliamoci subito di torno i
motivi dell’asperità che vi ho trovato: il libro – per essere gustato appieno –
suppone una certa agilità su temi filosofici che proprio io non ho; e così mi è
risultato talora difficile seguire, per esempio, alcuni rimandi allusivi e
qualche argomentazione anche paradossale su accessi di imbecillità di alcuni
grandi pensatori della storia dell’umanità, che costituiscono una parte
significativa del succo del libro.
Ma, come dicevo, il breve testo
(poco più di 100 pagine) è anche un fitto repertorio di considerazioni acute e
divertenti su quello che può considerarsi la
chose du monde la mieux partagée…l’imbecillità,
infatti, è una cosa seria, e non è una cosa per pochi né, soprattutto, per altri.
Il testo, in realtà, evita una
precisa “perimetrazione” della imbecillità (*), salvo definirla come cecità, indifferenza o ostilità ai
valori cognitivi, che dunque come tale è una colpa (inversa e simmetrica al
peccato originale, che consiste in una eccessiva curiosità nei confronti dei
valori cognitivi) ed è più diffusa tra chi ha ambizioni intellettuali… Il vero miracolo, però, e che mentre del
peccatore si piange, dell’imbecille si ride e questa è la titanica grandezza
dell’imbecillità, il fatto di essere una disgrazia di cui si può ridere,
l’unica tragedia su cui ci può esprimere solo nei termini del divertissement.
E in effetti, lo si capisce
chiaramente, il tono dell’autore è tutt’altro che spocchioso e maldicente: in
realtà, mi pare di poter dire, Ferraris si diverte non solo a rassegnare alcune
palesi imbecillità del suo mondo di intellettuale (senza proclamarsene
preservato) e anche del mondo della politica; ma anche sorride del suo proprio
esercizio (in effetti è difficile dare
dell’imbecille a qualcuno senza che qualcun altro ci inchiodi, e con validi motivi,
alla nostra imbecillità) e, in fondo, anche del “male” della imbecillità: le idiozie dei singoli possono trasformarsi
in un progresso dell’umanità, se non altro in base all’ovvio principio per cui
sbagliando impara, o altri imparano.
Bene. In qualche
modo confortati da questo quadro di riferimento intellettuale; accompagnati da
così illustri compagnie (discolpate dalla loro stessa grandezza); e,
soprattutto, divertiti dalle colte arguzie di Ferraris, non possiamo però
esimerci, nel nostro piccolo, dal misurare con preoccupazione le conseguenze, hic et nunc, del fenomeno, soprattutto tenendo conto che ( cito
ancora dal libro) l'imbecillità è il
proprio della modernità perché con le potenzialità espressive offerte dal
moderno ( e delle quali, del resto, questo blog è la manifestazione)
lo stupido si rivela meglio che in qualunque altra epoca più raccolta e
silenziosa (come, purtroppo,
sempre questo blog potrebbe – secondo i malevoli – dimostrare).
Temo, per venire
all’ hic et nunc, che il 4 p.v. avremo una imperdibile occasione
per misurare le conseguenze dell'imbecillità riversata a piene mani (da entrambe le parti) su un tema
ed un'occasione che - per loro natura - non si sarebbero prestati allo scempio.
Intendiamoci bene: non mi riferisco a quello che sarà il risultato (eh!
Perbacco! Per definizione democratica il popolo sovrano NON può essere
imbecille!); bensì al dopo, quale presumibilmente sarà, sia che vinca il Sì sia
che vinca il No. Se vince il Sì – magari mi sbaglio – probabilmente qualcuno si
convincerà che aver propalato messaggi di fideistica fiducia nel cambiamento
purchessia (**) o messaggi di anti-europeismo
un po’ imbroglione paga; e ne pagheremo le conseguenze. Se vince il No
qualcun altro si convincerà che la “spallata-accozzata” fa bene alla sua parte
(o meglio alle loro parti) e quindi si innescherà un processo
paralitico-elettorale dal quale – personalmente – non mi aspetto nulla di
buono.
Vedremo.
Roma, 1°dicembre
2016
(*) Per esempio, il
Devoto-Oli definisce più estesamente l’imbecille come persona di limitata capacità di discernimento e di buon senso o dal
comportamento stolido. Acuta invece risulta la notazione caratteriale che
Ortega y Gasset (citato nel libro) fa dell’imbecille rispetto al el perspicaz (l’uomo di buon senso): questo, infatti, è perennemente tormentato dal sospetto di essere un imbecille e vede
aprirsi difronte a se l’abisso dell’imbecillità (lo confesso: io mi sento perspicaz) mentre l’imbecille è fiero di sé (non vi sorprenderà: io non mi sento
fiero di me!).
(**) Per curiosità leggetevi cosa dice il Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti (pagina a pagamento su Il Sole 24 Ore) sulle tanto
sbandierate “semplificazioni” introdotte per legge.
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