lunedì 28 novembre 2016

Diario della prosopoagnosia

Dimmi chi detesti e ti dirò chi sei
(di Felice Celato)

Come sanno i lettori di questo blog, da sempre io soffro di una forma lieve ma molto imbarazzante di prosopoagnosia, quel disturbo cognitivo che conduce a non riconoscere le persone dal volto ( dal greco: prosopos = maschera, volto, + a = alfa privativo + gnosis = conoscenza).
Ho già raccontato, qui, delle tecniche esplorative che ho sviluppato nel tempo (sia chiaro: in sessant'anni di "malattia", e non da qualche mese!) per occultare questa mia grave deficienza che qualcuno potrebbe anche interpretare malevolmente ( traendone ingiuste conclusioni sul mio stato mentale) o magari sentirsene offeso.
Quello che segue è il racconto dell'ultimo episodio di questa mia quotidiana, imbarazzante odissea; un episodio come tanti me ne capitano, purtroppo, che però contiene in sé un insegnamento umanamente amaro: spesse volte sono le nostre inimicizie a renderci riconoscibili.
Dunque, cammino a svelti passi in una fresca mattinata romana quando mi imbatto, zona centralissima, in un distinto signore che mi saluta con grande confidenza e cordialità. Non avendolo riconosciuto e sembrandomi impraticabile la confessione di ciò, sono partito con le domande esplorative che fanno parte del mio repertorio, sviluppate in tanti anni di "malattia". Domanda n. 1, mirante ad identificare l'area di posizionamento... ideologico (NB: stavolta, per il modo in cui mi si è rivolto il tipo, non ho avuto dubbi; ci diamo del tu, il che elimina ogni preliminare esplorazione della trattazione più idonea, a base di prime persone plurali, tipo: come andiamo? Come ce la passiamo? etc.): Beh, come la vedi?
Il tipo però è un osso duro e si trincera dietro affermazioni generiche, appropriate all'età (apparentemente qualche anno più di me): E come vuoi che la veda, lo vedi anche tu! Andiamo male. Sempre peggio, direi.
Allora, dopo un cenno di desolazione, passo, con leggerezza, alla domanda n.2 del protocollo riconoscitivo mirante ad identificare almeno l'ambiente (presumibilmente lavorativo) in cui ci siamo conosciuti e per restringere, così, il campo di indagine e arrivare forse alla identificazione per via relazionale: e da voi, come va?
Anche qui la risposta è, all’inizio, scoraggiante: eh! Non li leggi i giornali? Male! Va male, come del resto tu ed io prevedevamo. Questo ultimo inciso mi apre un mondo: dunque, abbiamo condiviso opinioni se non addirittura ambiente di lavoro! (NB: avendone cambiati tanti, di ambienti di lavoro, non sempre questa strada porta al successo prosopognostico; ma spesso, se si è fortunati come la  lotta alla prosopoagnosia richiede, aiuta!)
E qui, preso atto della difficoltà, eccomi sfoderare il mio capolavoro: vediamo se ti distinguo, vecchia anguilla, almeno dalle tue inimicizie. E piazzo la (rischiosissima ) domanda n. 3 (NB. L'uso di questa domanda richiede grandi capacità elusive, se per caso la controparte fa domande; va quindi usata solo da persone veramente esperte del "male" prosopoagnostico e dialetticamente agili): E il nostro amico come si comporta? Ovviamente non ho la più pallida idea di chi sia il nostro amico comune, che, dato il tono ambiguamente ironico, potrebbe anche essere un nemico comune. Ma ho rischiato il tutto per tutto, fidandomi del fatto che nel mondo urbano di oggi le inimicizie ci identifichino meglio di ogni altra cosa.
Il successo è stato pieno: il mio interlocutore (a questo punto ho capito che proprio amici non eravamo, ipocrisie a parte) si è lanciato in una filippica contro un comune conoscente che, benché fatta senza pronunciarne il nome, mi ha guidato al suo nemico e, quindi, per relazione, a lui.
Ci siamo salutati con minor calore rispetto a quello iniziale, forse perché ha capito che....sul nemico non eravamo poi tanto amici.
Però, sono andato via forse esageratamente soddisfatto: non riconosco i volti, mi sono detto, ma....con le cattiverie urbane me la cavo meglio.
Roma, 28 novembre 2016



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