Dimmi chi detesti e ti dirò chi sei
(di Felice Celato)
Come sanno i lettori di questo blog, da
sempre io soffro di una forma lieve ma molto imbarazzante di prosopoagnosia, quel disturbo cognitivo
che conduce a non riconoscere le persone dal volto ( dal greco: prosopos = maschera, volto, + a = alfa privativo + gnosis = conoscenza).
Ho già raccontato, qui, delle
tecniche esplorative che ho sviluppato nel tempo (sia chiaro: in sessant'anni
di "malattia", e non da qualche mese!) per occultare questa mia grave
deficienza che qualcuno potrebbe anche interpretare malevolmente ( traendone
ingiuste conclusioni sul mio stato mentale) o magari sentirsene offeso.
Quello che segue è il racconto
dell'ultimo episodio di questa mia quotidiana, imbarazzante odissea; un episodio
come tanti me ne capitano, purtroppo, che però contiene in sé un insegnamento umanamente amaro:
spesse volte sono le nostre inimicizie a renderci riconoscibili.
Dunque, cammino a svelti passi in una
fresca mattinata romana quando mi imbatto, zona centralissima, in un distinto
signore che mi saluta con grande confidenza e cordialità. Non
avendolo riconosciuto e sembrandomi impraticabile la confessione di ciò, sono
partito con le domande esplorative che fanno parte del mio repertorio,
sviluppate in tanti anni di "malattia". Domanda n. 1, mirante ad
identificare l'area di posizionamento... ideologico (NB: stavolta, per il modo in
cui mi si è rivolto il tipo, non ho avuto dubbi; ci diamo del tu, il che
elimina ogni preliminare esplorazione della trattazione più idonea, a base di
prime persone plurali, tipo: come andiamo? Come ce la passiamo? etc.): Beh, come la vedi?
Il tipo però è un osso duro e si
trincera dietro affermazioni generiche, appropriate all'età (apparentemente
qualche anno più di me): E come vuoi che
la veda, lo vedi anche tu! Andiamo male. Sempre peggio, direi.
Allora, dopo un cenno di desolazione, passo, con leggerezza, alla
domanda n.2 del protocollo riconoscitivo mirante ad identificare almeno l'ambiente (presumibilmente lavorativo) in cui ci siamo conosciuti e per restringere, così, il
campo di indagine e arrivare forse alla identificazione per via relazionale: e da voi, come va?
Anche qui la risposta è, all’inizio,
scoraggiante: eh! Non li leggi i
giornali? Male! Va male, come del resto tu ed io prevedevamo. Questo ultimo
inciso mi apre un mondo: dunque, abbiamo condiviso opinioni se non addirittura
ambiente di lavoro! (NB: avendone cambiati tanti, di ambienti di lavoro, non
sempre questa strada porta al successo prosopognostico;
ma spesso, se si è fortunati come la
lotta alla prosopoagnosia
richiede, aiuta!)
E qui, preso atto della difficoltà, eccomi sfoderare il mio capolavoro:
vediamo se ti distinguo, vecchia anguilla, almeno dalle tue inimicizie. E
piazzo la (rischiosissima ) domanda n. 3 (NB. L'uso di questa domanda richiede
grandi capacità elusive, se per caso la controparte fa domande; va quindi usata
solo da persone veramente esperte del "male" prosopoagnostico e dialetticamente agili): E il nostro amico come si comporta? Ovviamente non ho la più
pallida idea di chi sia il nostro amico comune, che, dato il tono ambiguamente ironico,
potrebbe anche essere un nemico comune. Ma ho rischiato il tutto per tutto,
fidandomi del fatto che nel mondo urbano di oggi le inimicizie ci identifichino
meglio di ogni altra cosa.
Il successo è stato pieno: il mio
interlocutore (a questo punto ho capito che proprio amici non eravamo,
ipocrisie a parte) si è lanciato in una filippica contro un comune conoscente
che, benché fatta senza pronunciarne il nome, mi ha guidato al suo nemico e,
quindi, per relazione, a lui.
Ci siamo salutati con minor calore
rispetto a quello iniziale, forse perché ha capito che....sul nemico non
eravamo poi tanto amici.
Però, sono andato via forse
esageratamente soddisfatto: non riconosco i volti, mi sono detto, ma....con le
cattiverie urbane me la cavo meglio.
Roma, 28 novembre 2016
Nessun commento:
Posta un commento