sabato 12 novembre 2016

Post American malaise

Nessuno ha mai creduto veramente 
che l’opinione del numero maggiore 
in una votazione sia, per il predominio 
di quello, anche la più saggia
(Elias Canetti, Massa e potere
Adelphi, pg 225)
L'orma dei passi nel mondo
( di Felice Celato)
Inutile commentare gli esiti dell’elezione Americana di cui parlavamo qualche giorno fa. I giornali italiani e stranieri sono pieni di analisi  del voto (sperabilmente più centrate delle previsioni), di commenti (più o meno obbiettivi) e di aleatorie ipotesi sul futuro (come sempre di per sé incerto).
Io non credo che Trump sia the last trump [in inglese trump significa briscola, ma anche tromba e the last trump – nel linguaggio religioso – è la tromba del giudizio universale]; non credo, insomma, che Trump sia necessariamente la fine del mondo (nemmeno solo occidentale). E, ovviamente, spero di non sbagliare. 
Ma nemmeno  mi sento  di sottovalutare i rischi di questa inattesa vittoria di Trump. Ad una persona del suo profilo umano (almeno quello mostrato in campagna elettorale) e della sua nulla esperienza di governo politico (e per di più  senza un solido balance del Congresso) sono affidate questioni di una delicatezza e di una complessità unica, gravemente rilevanti per l’America ma anche per il mondo ( e per l'Europa, in primis). Vedremo: penso che ci saranno novità, non necessariamente (spero) tutte negative.
Vorrei invece – anche per preparaci ad altre sorprese, magari più  vicine – tornare a riflettere con voi su un tema di cui ci siamo occupati giusto un anno fa  (il 22 novembre del 2015) quando abbiamo accennato alla nostra come l’età della disintermediazione, non più confinata – dicevamo – al commercio di beni e servizi e alla quale ci siamo comodamente abituati; anche nell’informazione siamo disintermediati dal giornalismo diffuso e dai social media sui quali le notizie corrono spesso più veloci (e più emozionate e più confuse) che sui giornali; ma lo siamo persino nella formazione delle cosiddette volontà democratiche  che, ormai, assai spesso si “formano” (o si “sformano”) al di fuori di ogni filtro, secondo un malinteso concetto di democrazia diretta istintiva, immediata e spesso irriflessiva, quasi sempre non adeguatamente istruita. E’ forse questa – come diceva De Rita – la crisi dei corpi intermedi (partiti, sindacati, etc) che, in fondo, se la sono meritata grazie ai loro dilaganti insuccessi. 
E in effetti Donald Trump è arrivato direttamente al cervello votante della maggioranza degli americani, in mezzo all' ostilità dei media e, spesso, persino in palese contrasto col suo stesso partito, senza intermediazioni diverse dal suo solo volto di new-comer della politica e dalle sue parole di fuoco, spesso  eccessive, esasperatamente bipolari, agitando concitatamente quello che forse c’è – di sperato o di temuto – nelle confuse percezioni degli americani bianchi e con media istruzione, anche loro scossi dalla crisi. Pare che persino la maggioranza (52%) dei  cattolici, non ostanti le scomuniche volanti del papa, abbia votato per Trump.
Se così è (e francamente, almeno da noi, non ne vedo  gli anticorpi, anzi mi pare che l'infezione dilaghi)  occorre rassegnarsi a vivere – almeno fin che dura questa tanto picciola vigilia de' sensi che è del rimanente – una fase di eccitata conduzione della politica, caratterizzata da radicali oscillazioni e da altrettanto rapide conversioni di orientamento; direi, di una instabile demolatria (perché instabili sono le masse soggette a disgregazioni altrettanto rapide delle aggregazioni, cfr Canetti in Massa e potere), eccitata e talora pericolosa ma, nella sua genesi, riflessiva di ansie e problemi veri, magari non sufficientemente analizzati ma certamente autentici.
In fondo il mondo vive, forse, una fase di cambiamento epocale ( mi si scusi l'aggettivo banalizzato dall'uso ma credo che stavolta sia appropriato): abbattute le barriere fra idee, persone, merci, servizi e capitali, fatalmente - ne abbiamo già parlato qui - si sgretoleranno  anche le differenze nelle condizioni di vita dei popoli, a svantaggio - ovviamente - di quelli che fino ad oggi sono stati i più ricchi.
La storia è troppo ricca di insegnamenti per non considerare che molte volte i trend apparentemente ineluttabili non si sono verificati; ma questo non importa ai fini di quello che stiamo dicendo qui: quello che importa - once again - è la percezione, hic et nunc, del fenomeno in corso e la sensazione di ansia che genera in chi non è stato per tempo educato al cambiamento, ai suoi rischi, alle sue opportunità e anche a leggerne le orme dei  passi nel mondo; con le conseguenze politiche che vediamo e vedremo.
Roma, 12 novembre 2016


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