La società dissociativa
(di Felice Celato)
Come ogni anno, la prima settimana di dicembre è
dedicata alla riflessione sulla nostra società come emerge dall’annuale
radiografia che ne fa il Censis, ormai da cinquant’anni. Come ogni anno – da
quando esiste questo blog – segnalo a
tutti i miei venticinque lettori che il Rapporto
sulla situazione sociale del Paese va letto nella sua interezza e via via meditato
nella congerie di analisi che presenta, in larga parte supportate da imponenti
apparati numerici per oltre 500 pagine. Ma, sempre come ogni anno, la breve sintesi che ne fa il
direttore (quest’anno Massimiliano Valerii) e le considerazioni generali del
presidente (Giuseppe De Rita, fondatore ed animatore da sempre del Censis)
costituiscono un “assaggio” significativo dei contenuti del Rapporto e
forniscono una visione qualitativa di sintesi della situazione in cui siamo
immersi. Ovviamente tentare di contenere il senso di fondo, anche solo di
quell’”assaggio”, nelle settecento
parole di questi nostri post è un
esercizio estremamente rischioso; e tuttavia, come ogni anno, tenterò, a caldo, di
riflettere qui almeno alcuni dei messaggi più incisivi che mi paiono emersi
dalla presentazione.
Le “parole-chiave” di quest’anno mi paiono queste:
(1) la società dissociativa nella
quale si compie la faglia tra mondo del
potere politico e corpo sociale, il problema più serio – dice De Rita – che la nostra società si trova di fronte.
Da un lato un corpo sociale che si sente
rancorosamente vittima di un sistema di casta; dall’altro una dinamica politica che…preferisce
slittare in alto…arroccandosi sulla necessità di un rilancio dell’etica e della
moralità pubblica. (2) in mezzo una grave crisi delle istituzioni che – per la crisi della propria consistenza,
anche valoriale – non riescono più a
fare da cerniera fra dinamica politica e dinamica sociale. (3) sullo sfondo
il resto,….un magma di interessi e
comportamenti…che continuano a previlegiare il funzionamento quotidiano della
vita collettiva, abbarbicato alle poche filiere che funzionano (moda,
eno-gastronomico, meccanica), continuando
a ruminare e metabolizzare tutti gli eventi e i processi che ci interpellano
dall’esterno (le migrazioni, lo sfaldamento dell’Europa e persino i
terremoti), in uno sforzo di continuità
che non vorrebbe essere scettica
passività dell’abitudine. (4) Intanto, mentre, nel generale discredito
della politica, si sfaldano - nelle percezioni diffuse - le retoriche politiche a lungo dominanti (globalizzazione,
europeismo, etc.), calano i nuovi nati…si dilata la componente demografica degli anziani e dei longevi, si
alzano nuovi muri tra le generazioni,
il risparmio si ferma sui conti correnti
delle famiglie italiane, cresce la
bolla dell’occupazione a bassa produttività. (5) Resistono, invece, in
forme fluide ma autentiche, i compaginamenti affettivi della società; anzi, in
controtendenza rispetto alla crisi economica, cresce la generosità diffusa degli Italiani come sublimazione della
partecipazione, pur nella stagnazione dell’impegno
strutturato nel volontariato.
Mi rendo conto che un’estrema sintesi per “parole-chiave”
rischia di tradire, anzi forse proprio di rendere vane, la profondità e la
complessità delle analisi; e che la selezione stessa di tali parole contiene
una certa dose di arbitrarietà. E tuttavia mi pare di poter dire che questa
sommaria e certamente incompleta rassegna di spunti fornisce un quadro
tutt’altro che confortante sullo stato della nostra società, al quale, del
resto, come facilmente intuiscono i lettori di questo blog, mi sentivo…..del tutto preparato; ma al quale, per non
disperare, si contrappongono due considerazioni che valgono, forse, a mitigare
i toni cupi del quadro d’insieme che ho tratto dalla presentazione del Rapporto.
La prima – particolarmente sottolineata nella presentazione di De Rita, analista
lucido ma pietoso – si focalizza sulla tenace resistenza di alcune filiere
produttive che tuttora costituiscono la spina dorsale della nostra economia e,
in fondo, sulla ostinata resilienza del nostro corpo sociale (forse qualcuno
ricorderà lo scheletro contadino di
cui parlava De Rita, mi pare un paio d’anni fa); la seconda, invece, allarga la
prospettiva alle analoghe crisi di identità che scuotono molte società del
mondo occidentale, confrontate con analoghe tensioni – secondo me – correlate
ai cambiamenti in atto negli equilibri economici del mondo.
Forse varrà la pena di tornare a rifletterci sopra.
Roma 2 dicembre 2016
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