domenica 4 ottobre 2015

Un anniversario importante

Olivi ed olivi selvatici
(di Felice Celato)
Ricorre fra pochi giorni il cinquantesimo anniversario di un documento conciliare che ha, in modo forse radicale, cambiato la storia dei rapporti fra cristianesimo ed ebraismo. Si tratta della Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, meglio noto come Nostra  aetate; cinque pagine che hanno posto una pietra sopra una secolare ostilità nutrita dal popolo cristiano verso il popolo ebraico, un’ostilità, occorre riconoscerlo, alla quale ha grandemente concorso l’antigiudaismo cristiano basato sull’accusa di deicidio rivolta dai cristiani agli ebrei come popolo.
Per celebrarlo a modo mio, mi sono avventurato nella lettura di un magnifico testo (La Chiesa e il popolo ebraico), pubblicato da Morcelliana nella sua collana “Storia” e scritto dal cardinale Agostino Bea che di quel documento fu animatore e relatore.
Le origini di quell’ostilità, e gli argomenti di cui si è per anni nutrita, sono ripercorse dal Cardinale Bea con esemplare chiarezza, senso della sintesi e dottrina.
Tutti i miei pochi lettori sanno quanto sia forte la suggestione che la cultura ebraica ha esercitato su di me, e tutt’ora esercita ormai da quasi cinquant’anni (già, forse mi sono appassionato del tema sui banchi del liceo, quando per la prima volta mi capitò di avere a che fare con una simpatica compagna di scuola di religione ebraica e di stretta osservanza); da sempre per la verità, da quando ho cominciato ad interessarmi al tema, ho rifiutato il pensiero che un intero popolo potesse essere e per sempre ritenuto responsabile dei fatti che portarono alla crocifissione di Gesù, a Gerusalemme in quei fatidici giorni, e sempre mi ha colpito il pensiero della naturale ebraicità di Gesù, dei suoi parenti, dei suoi discepoli e dei suoi primi seguaci; e da allora mi sono “specializzato” in letture che hanno argomentato la mia passione per questa cultura e per le sue odierne vicende ed eredità. Oggi….ormai declinante nella vecchiaia, posso dirmi compiutamente innamorato dell’ebraismo ancorchè  (questo lo sanno tutti i miei lettori)  profondamente e convintamente cattolico. E dunque, per celebrare degnamente questo anniversario, mi limiterò a riportare qui un passo, per tanto tempo dimenticato – nei fatti – da noi cristiani, della Lettera ai Romani (1, 13-14, 16-21), scritta dall’Apostolo delle Genti, san Paolo, fariseo figlio di farisei e grande “scardinatore” del recinto dell’elezione del suo popolo; un passo che faremmo bene ad avere costantemente presente a perenne memoria del debito della nostra civiltà cristiana verso la “radice” della nostra salvezza:
A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni….Se le primizie sono sante, lo sarà anche l’impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice ma è la radice che porta te.
La maggioranza del popolo di Gerusalemme, in quei giorni della Storia, non riconobbe il Cristo come Dio (e quindi non può essere stato deicida!) e non comprese quella regalità così diversa da quella attesa; quanti errori da allora, prima di allora e fino ad oggi, hanno fatto le maggioranze, quante volte hanno seguito le suggestioni dei capi più scellerati, quanti crimini ha conosciuto la storia per la cecità dell’uomo, quante volte non comprendiamo, quante volte ci chiudiamo nel recinto delle nostre convinzioni, quante volte rimaniamo prigionieri della nostra stessa cultura!
Oggi, a distanza di cinquant’anni, abbattute tante barriere, riscoperta la relazione tra rami e radici, possiamo guardare con occhi nuovi alla identità del legno, alla luce di quel Legno.
In fondo, ogni singola espressione della nostra preghiera fondamentale (il Pater Noster) ha profonde radici ebraiche e, credo, ogni nostro fratello ebreo potrebbe recitarla con noi senza imbarazzo, come noi potremmo recitare con lui il Kaddish.

Roma, 4 ottobre 2015, San Francesco d’Assisi (auguri a tutti i Franceschi!)

Nessun commento:

Posta un commento