Reato e peccato
(di
Felice Celato)
Si
sarebbe detto che la discesa di Dio in terra nella persona del Suo Figlio
avrebbe potuto essere più che sufficiente per scardinare per sempre il peccato
dal cuore degli uomini e dalla faccia della terra. Ma, come sappiamo, ciò non è
avvenuto; tant’è che dobbiamo ancora contare (per nostra fortuna) sulla
misericordia di Dio piuttosto che sulla nostra giustizia (in senso Paolino). E
non è il caso di diffonderci qui sulle fondate ragioni che ci siamo dati per
tutto ciò. Anche i grandi scuotitori di coscienze che si sono affacciati nel
corso della storia con la parola bruciante, col pensiero forte o con l’esempio
stupendo (da Savonarola a san Francesco, da Socrate a Kant) non hanno avuto (nè
potrebbero aver avuto o avere in futuro) successo maggiore.
Dunque
– venendo, ahimè, a noi e ai nostri tempi – non saranno i Di Pietro, i Borrelli
o i Cantone ad estirpare la mala pianta della corruzione, checché loro stessi
ne abbiano pensato o ne pensino o ne facciano pensare; perché, la corruzione,
prima di essere un odioso crimine, è anche un grave peccato e – come tale – ha
le sue radici nel cuore e nella mente
dell’uomo e nell’uso perverso che fa della sua libertà.
Certo,
sul piano della legge, nuove norme, nuovi “codici”, nuove “grida” potranno –
talora – rendere più difficile (o solo più complicata) la commissione del
reato; o talora addirittura agevolarlo, come si dovrebbe dire alla luce della
lettura che ora diamo di precedenti “grida” draconiane che, allora, ci erano apparse efficaci. Ma – mettiamoci l’animo
in pace – con la corruzione (reato e peccato) avremo, ancora e a lungo, a che
fare.
Detto
questo, ci si può domandare (e lo fa, per esempio, molto bene Di Vico sul Corriere della sera di oggi) che tipo di
anticorpi occorrerà produrre per limitare la portata del reato/peccato di
corruzione: restringere lo Stato (che è di per sé un bene da perseguire con
urgenza e perfino nelle nostre teste!) è senz’altro una strada che può aiutare,
come argomenta Di Vico; ma episodi di corruzione si sono verificati - in Italia ed all'estero -anche in
campo privato, anche in forme astutamente manipolative (si pensi alla nota
questione dell’Euribor); e allora?
Mah!
Forse non ci resta che sperare nella coltivazione delle coscienze che –
beninteso – parta dalla percezione del male della piccola corruzione, quella di
ogni giorno e di molti; per arrivare, ovviamente, ai fenomeni più
conclamati e di pochi (fenomeni dei quali, naturalmente, siamo mediati e
provvisori testimoni). Ma a valle di ciò, la corruzione resterà pur sempre un
diffuso peccato e un corrente reato. E gli uomini continueranno a praticarla finché
restano uomini, quand’anche lo Stato si restringa o quand’anche le coscienze
siano meglio formate e a prescindere dalle norme che venissero escogitate. Del
resto, per rimanere nel legale, che cosa sono le norme se non un prodotto della
cultura? Anzi, come meglio diceva in un amaro articolo qualche giorno fa il
prof. Ainis sempre sul Corriere, “che cos’è
la legge? Uno specchio dei nostri amori e dei nostri umori” (cosa quanto
mai vera in Italia dove, scarsi di cultura, ci affidiamo assai più che altrove
agli umori). E se le norme sono un prodotto della cultura (un esempio
paradossale ed esemplificativo, per coloro che non hanno studiato filosofia del
diritto: la nostra cultura è basata sulla proprietà, e per questo puniamo il
furto), le norme non possono che rifletterla; e quindi continueremo a
condannare la corruzione mentre continueremo (ahinoi!) a praticarla, perché,
magari, ce l’abbiamo nell’animo; infatti, come dice san Paolo (Rm, 7,21), “in me c’è il desiderio del bene non la capacità
di attuarlo: compio infatti non il bene
che voglio ma il male che non voglio”.
E allora?
Ci arrendiamo alla corruzione? Certo che no! Continuiamo a combatterla, ovunque
e sempre, anche con le leggi (magari sottraendoci, nel porle, al fluttuare
degli umori); ma, soprattutto, continuiamo a vigilare sulla nostra coscienza
del male grave insito in ogni fenomeno corruttivo, dal piccolo (diffuso) al
grande (meno diffuso ma più clamoroso); ma con una certezza: non saranno le
leggi ad estirpare la corruzione ma, solo, potrà contrastarla “la
desta consapevolezza” (G. Cucci: L’arazzo
rovesciato, Cittadella 2010) del male insito nella mercificazione
dell’agire, nello scambio oscuro fra denaro (o “altra utilità”) ed illeciti
favori; e nella convinzione che “i
cattivi [non] sono sempre gli altri”
(T. Todorov, Di fronte all’estremo,
citato ne L’arazzo rovesciato, pg 69)
perchè “la banalità del male”
comincia spesso nel nostro quotidiano.
Roma,
30 ottobre 2015
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