domenica 25 ottobre 2015

Defendit numerus / 3

Proporzioni
(di Felice Celato)
Il grande interesse che la stampa mostra di nutrire per il Sinodo della Chiesa cattolica appena conclusosi (per esempio, dal Corriere della Sera del 25 ottobre: titolo di apertura in prima pagina, poi le pagine intere 2,3 e 5) ed in particolare per la ben nota questione della comunione ai risposati, mi spinge a due considerazioni: (1) forse sarebbe stato meglio scegliere una gestione meno clamorosa per questa assise largamente equivocata dai media; l’interesse suscitato è – lo do per certo – se non malizioso almeno largamente meta-oggettivo, cioè la materia in sé non interessa che a pochi lettori, per i quali, peraltro, molte visuali mediatiche dell’evento risultano addirittura irritanti (certamente per me è così). (2) Il clamore suscitato dal tema che invece ha affascinato i media, mi pare largamente sproporzionato all’entità dei supposti sottostanti “bisogni” (qualsiasi cosa voglia dire questo termine applicato alla materia de qua, squisitamente spirituale).
Per confortare questa osservazione, proverò a sintetizzare alcuni numeri che traggo da una non recente indagine sociologica del Censis (ha giusto 10 anni, quando papa era il popolarissimo ed amatissimo San Giovanni Paolo II); mi mancano dati più recenti ma  credo che l’analisi sia  tuttora significativa. Dunque su 100 italiani, secondo il campione statistico considerato dal Censis, 57,8% si dichiara cattolico praticante e il 28,7% cattolico non praticante (il resto, 13,5%, si dichiara indifferente, ateo o di altra religione). Ma, dei sedicenti praticanti (cioè di quei 57,8) solo 21,4 vanno a messa (almeno) settimanalmente e di questi suppongo – la stima è tutta mia e totalmente empirica – più o meno la metà (diciamo 12 su 21,4) chiede la comunione; gli altri 36,4 ci vanno (a messa) solo saltuariamente e – suppongo – altrettanto saltuariamente si accostano alla comunione Se ci riportiamo al 100 del campione, possiamo così dire che la comunione “riguarda” poco più del 10-12% degli italiani, pari, grosso modo, al  20% dei sedicenti praticanti (infatti 12/57,8= 0,21). Fra i divorziati risposati immagino che l’interesse per l’ostia consacrata possa essere sensibilmente più basso di quello rilevabile presso i praticanti. In ogni caso non me la sarei sentita di prevedere lunghe code davanti agli altari (anzi, prima davanti ai confessionali!) nemmeno se – come sembrava auspicare molta stampa tifosa in materia che tifo non ammette – la comunione ai divorziati risposati fosse stata totalmente “liberalizzata” (qualsiasi cosa voglia dire questo termine applicato alla materia de qua).
Mi rendo conto che la questione mal si presta ad un’analisi quantitativa; però il clamore sì.

Roma 25 ottobre 2015

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