“Something
is rotten in the state of Denmark”
(di
Felice Celato)
Dunque
anche da noi (dopo che in Germania, in Svizzera e anche altrove) cominciano a
comparire le emissioni di debito pubblico (addirittura poliennali) a rendimento
negativo! Mi spiego meglio per i non “addetti ai lavori”: chi presterà denaro
allo Stato Italiano, acquistando, per esempio, i CTz biennali appena emessi,
non riceverà un compenso (il rendimento) per il capitale prestato, bensì dovrà
lui stesso pagare un compenso (il rendimento negativo) per averlo potuto
prestare (e quindi mettere a rischio). E’ come se, esagerando un po’, andando
al mercato a comprare un pesce, invece di corrispondere il prezzo, il
compratore venga lui stesso compensato per il fatto che lo porta via dal
bancone del pescivendolo. Oppure, più propriamente: è come se andando a prendere
a noleggio una macchina il noleggiatore ci paghi (anziché farsi pagare),
purché, magari, al termine del noleggio, la restituiamo.
Fatemi
credito del fatto che io conosca…abbastanza bene i meccanismi e le ragioni di
tale “stortura”; del resto non è questo il luogo per intrattenerci su tematiche
finanziarie piuttosto specialistiche. Voglio invece riflettere con voi sul
significato economico e sociologico di questa “novità”.
Proviamo
a ragionare: che cosa paga il rendimento di un prestito? A quale funzione economica
risponde la corresponsione di un compenso a chi presta dei soldi? Beh! E’
abbastanza facile: il rendimento compensa: (a) il costo dell’indisponibilità
del denaro liquido per tutta la durata del prestito (se l’ho dato ad altri, del
mio denaro perdo la disponibilità, qualsiasi cosa voglia farne); (b) il rischio
di trovarmelo svalutato quando mi sarà restituito; (c) il rischio che
addirittura non mi venga più restituito. Ecco, per queste tre ragioni, se
presto denaro, giustamente pretendo di ricevere un prezzo che mi ristori dei
tre oneri/rischi che mi assumo.
Ora,
se questo prezzo diviene negativo (cioè sono io creditore che lo devo pagare
anziché riceverlo), qualcosa deve essere successo nella nostra mente (ripeto: al
di là di ogni tecnicismo che qui ci risparmiamo): si vede che siamo portati a
ritenere che non esistano valide alternative per farne qualcos’altro, del
nostro denaro; e che tale inesistenza
pesi, nelle nostre decisioni, più del rischio di svalutazione del nostro denaro
o addirittura di quello di non vedercelo restituito.
Provate
a pensare, un po’ rifacendovi all’esempio del noleggiatore: se il nolo della
vettura è negativo, evidentemente questa vettura non serve a nessun altro,
anzi, ingombra inutilmente il garage del noleggiatore, che ha interesse a
pagarvi pur di veder collocata per un po’ la sua vettura.
Non
so se è la “stranezza” di questa situazione che stiamo vivendo (ripeto: non
solo in Italia), così incompatibile coi modelli logico-funzionali coi quali ho
ragionato durante quasi 50 anni di lavoro; o se, più semplicemente, è il
complessivo mood negativo che mi
pervade quando apro i giornali. Fatto sta che il prezzo negativo del denaro
(ripeto ancora: al di là della natura tecnica di questo passaggio) mi inquieta
fortemente e mi induce a pensare che c’è qualcosa di marcio (something rotten) nel nostro mondo occidentale ( come diceva, della Danimarca, Marcello, nell’ Amleto di Shakespeare): è, forse, che del
nostro futuro dubitiamo noi stessi al punto che accettiamo di perdere
gradatamente (questo è il rendimento negativo! Presto 100 per vedermi
restituito 99!) il valore del nostro capitale? Ovviamente quando mi pongo
questa critica domanda non sto pensando solo al valore del capitale finanziario
e alle “alchimie” delle sue gestioni, ma anche a quello culturale, sociale
ed umano (cfr: Radici, post del 21 ottobre u.s.), che fatalmente si riflette nelle
aspettative economiche del nostro mondo occidentale .
Roma
26 ottobre 2015
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