12 ottobre
(di
Felice Celato)
Il
12 ottobre (o, più propriamente, nella domenica che lo precede immediatamente,
quindi, quest’anno, domani 11) si celebra in tutti gli USA il Columbus day, il giorno della
"scoperta" dell'America da parte, appunto, del "nostro"
Cristoforo Colombo (non a caso, pare, questa festa nazionale americana fu
promossa da un italo-americano di origini calabresi).
Ma
il 12 ottobre, di qua dell'oceano, si celebra anche - stavolta in Spagna - la
festa della Nuestra Señora del Pilar, legata ad un'antica tradizione (la Vergine Maria
appare all'apostolo Giacomo in un momento di sconforto e gli dona un simbolico
pilastro - pilar, in spagnolo - ora
compreso nella basilica di Saragozza, che visitai anni addietro) e, più tardi,
ad un controverso miracolo di cui si è scritto anche qualche anno fa (Il miracolo, di Vittorio Messori, BUR, 2000).
Perché
- coincidenza di date a parte - mi viene in mente di collegare due festività
così distanti l'una dall'altra, per luogo e tempo di origine e anche per
significato culturale (da una parte l'uomo che, sfidando con successo i limiti
delle sue conoscenze, scopre nuovi mondi; dall'altro il divino che sostiene
l'umano nei suoi umanissimi sconforti)?
La
risposta è semplice: perché gli “opposti” mi affascinano, sempre (anche qui
potrei dire di essere naturalmente e curiosamente eterofilo, termine che uso in altri contesti dialettici).
Il
"contrasto" (intellettuale, intendo) dei mondi quasi sempre – quando
non è becero – arricchisce di argomenti e, talora, stabilisce dei "ponti" impensati e suggestivi. E per questo mi appassiona; ne sanno qualcosa gli amici
che punzecchio quotidianamente – talora anche fingendomi un loro “opposto” – per
godermi le loro reazioni.
Visto
che abbiamo parlato della Nuestra Señora del Pilar, vi giro un esempio - secondo me magnifico - di un
"ponte" impensabile, se non fosse vero, fra due “opposti” mondi
spirituali.
Si tratta di uno dei più commoventi pensieri Mariani
che mi sia capitato di leggere, scritto, nel 1940, nientepopodimeno che da Jean
Paul Sartre, un filosofo e scrittore laico e “laicista”, ateo esistenzialista e
poi anche ateo marxista, durante il suo internamento nel campo di concentramento
di Treviri ( traggo la citazione da un recente
libro di mariologia, Maria, Ed. San Paolo, 2105, scritto dal card. Ravasi, autentica miniera di
riferimenti scritturistici e culturali):
Cristo è suo
figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato
per nove mesi e gli darà il seno, e il suo latte diventerà il sangue di
Dio….Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli
è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è
la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua
bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. E’ Dio e mi assomiglia!”.
Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio
piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto
caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive.
Beh! Insomma! Un bel "ponte" (culturale), più solido di
quello fra due date.
Roma, 10 ottobre 2015
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