De
amicitia o De senectute?
(di
Felice Celato)
E’
curioso che un lungo articolo sull’amicizia nelle varie fasi della vita sia
comparso, sulla rivista americana The
Atlantic, nella rubrica dedicata alla salute. Eppure, sembra, le varie
ricerche che l’articolo cita documentano come l’amicizia nelle varie fasi della
vita – ancorché soggetta a tutte le modificazioni che il tempo porta con sé –
rimanga un pilastro della “felicità” personale che, almeno negli USA (ma credo
anche qui da noi), è ritenuta un fattore importante della nostra salute (forse
non solo psichica).
Delle
evoluzioni dell’amicizia nei tempi della vita, non vale la pena di occuparsi in
questo blog, frequentato in
grandissima prevalenza da seasoned readers (del resto l’articolo, chi
ha più giovanili interessi, lo può trovare facilmente sul sito di The Atlantic). L’amicizia,
dice l’articolo, è una relazione senza
legami eccetto quelli che tu scegli di allacciare, basata su tre fondamentali
aspettative (somebody to talk to, someone to depend on and
someone to enjoy, qualcuno con
cui parlare, qualcuno su cui contare, qualcuno con cui condividere qualche
piacere) il cui peso relativo tende a mutare negli anni, secondo i tempi e le
circostanze della vita nelle quali le
amicizie si sviluppano; e, in fondo, l’osservazione di queste evoluzioni è sufficientemente
facile (almeno credo) per ciascuno di noi. Noi siamo ormai nel secondo tempo
del film e vale la pena forse solo di considerare ciò che ci resta da vivere
prima del The End.
La
mia esperienza di adulto più che stagionato mi porta a riguardare indietro al
mio mondo delle amicizie con animo, in fondo, contento: della lontana
adolescenza, conservo, forse, un solo amico, che vedo raramente ma sempre con
la sensazione di riprendere discorsi brevemente interrotti; della mia prima gioventù,
solo….una moglie e una coppia (mai
deserta) di carissimi amici; dell’università, assolutamente nessuno; del
lavoro, alcuni e diversi ma ormai tutti passati attraverso il vaglio della
consonanza intellettuale: dimenticati (almeno spero) i biglietti da visita, le
vere amicizie sono rimaste il frutto di frequentazioni ormai perse ma durante
le quali si è costruita un’affinità di visioni, di sensibilità, di complicità
intellettuali che si rinnovano in tutti gli incontri, indipendentemente dalla
loro frequenza. Il vaglio dell’età più che matura, la libertà da frequentazioni
funzionali alla vita lavorativa, e forse anche il maggior tempo che ci è
consentito dedicare alla cura del nostro pensiero e del nostro spirito, mi
hanno portato a selezionare, anche dopo finita la vita più intensamente
lavorativa, un piccolo numero di amici, nuovi o estratti dalle varie fasi del tempo (e
anche, nei limiti del possibile, via via fra loro integrati), ai quali
attribuisco (forse egoisticamente) il beneficio della “salubrità”: scambiarsi
le idee, magari litigare aspramente su di esse mantenendone il filo nel tempo,
alimentare reciprocamente le rispettive opinioni, anche coi mezzi della moderna
comunicazione (come questo blog o
qualche mail durante la settimana),
mi paiono tutti esercizi di compagnia, come di una scorta reciproca sul cammino della anzianità (quindi
somebody to talk to and someone to enjoy
ma anche, in un senso forse nuovo, someone
to depend on).
Forse,
come rileva l’articolo, l’età anziana esige una cura più gentile dell’amicizia;
e, talora, questo tratto è il più impegnativo quando il tempo ci ha reso più
aspri e quando le nostre opinioni si sono fatte più esperte e, magari, anche
più nette. Ma – ne sono convinto – il salubre bene dell’amicizia fortemente
consiglia questo sforzo che è reciproco allenamento in vista di quella che il
cardinale Martini chiamava “l’età in cui
si impara a mendicare” ( Carlo Maria Martini :Le età della vita, Mondadori, 2010)
Roma
25 ottobre 2015
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