Globalizzazione
(di
Felice Celato)
Forse
i giornali Italiani (unica eccezione a me nota: Il sole 24 ore) non hanno dato –credo – il giusto rilievo
all’accordo firmato l’altro ieri ad Altlanta (USA) fra Stati Uniti, Giappone,
Australia, New Zeland, Perù, Cile, Messico e diverse nazioni del sudest
asiatico (Malesia, Vietnam, etc), noto come TTP (Trans Pacific Partnership). La disattenzione è comprensibile, del resto:
noi avevamo da baloccarci con la assai più rilevante questione della violata, ben
nota solennità e compostezza dei nostri dibattiti senatoriali e, quindi, di ciò
che accade nel mondo, possiamo anche disinteressarci.
Eppure,
questo accordo (molto faticoso e del quale non si conoscono ancora i testi
finali ma solo i princìpi, come enunciati alla stampa) potrebbe avere una
importanza notevolissima per le future sorti dell’economia globale. In sostanza
questi 12 Paesi affacciati sul Pacifico – l’altra metà del mondo, per noi
“atlantici” – hanno deciso di abbattere dazi e barriere all’interscambio (pare
che se ne contino 18.000, nell’insieme dei Paesi in questione!), di liberalizzare
i rapporti fra i rispettivi mercati agro-alimentari, di avvicinare alcune
politiche di gestione del lavoro e dell’ambiente, di ri-disciplinare e uniformare la protezione
della proprietà intellettuale sui farmaci e sui prodotti di tecnologia ITC
(riducendo i tempi di validità dei brevetti, come raccomandava il Reich di cui
ci siamo occupati qualche giorno fa); il tutto con effetto su economie
costituenti qualcosa come il 40% del PIL globale!
Ci
vorrà del tempo per varare i testi legali e per conseguire le approvazioni dei
rispettivi Parlamenti, ma il TPP può, forse, diventare un’altra pietra miliare
del processo di globalizzazione dei mercati, con tutto quello che questo significa
per il mondo e per le nostre economie; la prossima pietra miliare sarà l’analogo
accordo USA-Europa (noto come TTIP, Transatlantic
Trade and Investment Partnership) da molto tempo in discussione (e oramai
vicino alla conclusione).
L’effettiva
globalizzazione del mercato delle merci (dopo quella del mercato dei capitali)
accelera il suo passo, carico di promesse e di minacce (si pensi solo al
benessere delle società più sazie, inevitabilmente destinato a mediarsi con la
fame di benessere dei mercati meno sazi); come, del resto, carico di promesse e
di minacce è ogni passaggio più rilevante dell’evoluzione del mondo. Il nostro
vecchio recinto occidentale ed atlantico è comunque saltato da tempo, almeno da
quando la Cina è, essa stessa, uscita dal suo recinto, e ora un mondo più vasto
senza (o con meno) recinti avanza ancora,
a grandi passi.
Non
è, beninteso, una garanzia di sicuri destini luminosi; certamente però è una
garanzia di scenari nuovi che richiedono forti aggiustamenti dei nostri punti
di vista e la rinuncia (questa sì, immediata) ad usurati schemi di
interpretazione della realtà (faccio un esempio, attinto dalla cronaca: Landini
che, commentando – criticamente – i fatti di AF-KLM, dice che loro – il suo
sindacato, immagino – sono pronti ad occupare le fabbriche per difendere i
posti di lavoro, è come un menestrello medioevale che partecipa ad un festival rock: fuori tempo).
Gli
esiti di queste evoluzioni, come sempre, non dipendono dagli strumenti (in
fondo la globalizzazione non è un fine in sé, ma un mezzo per la crescita e la
diffusione del benessere) ma dagli uomini che li utilizzano; e questo vale per
tutto, dalle armi, ai mercati, alla finanza, etc.. E quindi anche per la
globalizzazione.
E’
possibile, come accennavo sopra, che la torta
(cioè la ricchezza che il mondo produce) cresca, almeno all’inizio, più
lentamente del numero di quelli che aspirano ad averne una fetta decente; e che, quindi, la giustizia distributiva imponga un ridimensionamento della fetta cui
ciascuno di noi si era abituato. Come è possibile (anzi, forse, probabile) che
l’ansia per la propria fetta determini,
almeno nel breve, un accrescimento degli atteggiamenti competitivi di chi ha
fame e da più tempo. Ma considero importante che gli stati si sforzino di
regolamentare lo scenario che -volenti o
nolenti- abbiamo di fronte; con fatica (perché il rischio di fette di torta più
piccole ha una sua evidente valenza politica) ma anche con buona volontà e –
forse – anche con lungimiranza.
Roma 7 ottobre 2015
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