Gli alunni di Hailsham
(di Felice Celato)
Per accompagnare il lento dissolversi
della pausa Pasquale e nella perdurante apnea civile del nostro povero paese,
nulla di meglio che la segnalazione di
una lettura: un romanzo, stavolta, non banale né leggero ma sicuramente
avvincente e denso di suggestioni.
Si tratta di Non lasciarmi (Einaudi, 2016) di Kazuo Ishiguro, premio Nobel per
la letteratura del 2017 e autore - come vedremo subito - di notevole spessore
narrativo e intellettuale.
La storia narrata si dipana
progressivamente e progressivamente si rischiara, prendendo le mosse da un
ambiente vagamente misterioso e da una situazione esistenziale dai contorni
surreali e dalle venature metafisiche che - per non sciupare l’esercizio del
lettore - accennerò solo molto brevemente: siamo rapidamente immersi, dall’io
narrante, in un ambiente chiuso, una specie di confortevole collegio (Hailsham),
rigidamente isolato dal resto del mondo (civile e affettivo), dove una comunità
di giovani e giovanissimi vengono lentamente educati e implicitamente preparati
ad una particolare missione, mai chiaramente definita ma implicitamente
accettata da tutti e genericamente etichettata come quella di diventare,
attraverso un ben organizzato percorso educativo, prima “assistenti” e poi
“donatori”. Inevitabile, in tale misto contesto comunitario, l’intrecciarsi di
relazioni amicali ed affettive, queste ultime non particolarmente incentivate
ma nemmeno ostacolate, pur nella quasi solo sottintesa loro sterilità.
Dunque, come dicevo, una situazione
surreale che sembra reggersi nell’assunto che il metaforico destino comune a
tutti i protagonisti sia accettato naturalmente, senza porre interrogativi
inquietanti, quasi come se si reggesse su un immutabile sinallagma esistenziale
scolpito da sempre nelle teste e nei cuori dei cittadini del misterioso
collegio.
Bene, non andiamo oltre perché il
pregio del libro sta anche nella tensione narrativa che si sviluppa lungo tutte
le quasi 300 fitte pagine.
Vengo, invece, rapidamente a quelli che mi sono risultate le più
vivide suggestioni del libro e delle sue atmosfere: Hailsham è, forse, la
metafora della vita e gli alunni che abitano
questo conchiuso microcosmo non sono che la bizzarra rappresentazione degli
uomini che non conoscono il loro destino e che tutto sommato vengono educati a
non cercare di conoscerlo (Cosa avreste
fatto se aveste saputo cosa attendeva ciascuno di voi? dice, alla fine del
libro la misteriosa direttrice della scuola, riecheggiando la famosa frase di
Cicerone: quale sarebbe stata la vita di Priamo
se da adolescente ne avesse conosciuto il corso?). L’amore è forse l’unico
vero compagno di tratti della esistenza degli alunni di Hailsham, senza peraltro riuscire a diventare la via
d’uscita dal solco del destino quando via via si manifesta inesorabile; eppure
le rigide regole di Hailsham sembrano assegnare all’amore anche la facoltà di
rallentare il corso del destino, non di fermarlo, ma solo di rallentarlo quando (misteriosamente) se ne provi la sostanza meta-sensuale.
Insomma un libro da leggere; per molti aspetti una specie di
prefigurazione orwelliana di una società avanzata che tutto de-umanizza, senza
peraltro riuscire a cancellare del tutto il più resistente dei sentimenti, che
non modifica il destino ma certamente ne rende meno triste il decorso.
Roma 4 aprile 2018
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