1° maggio
(di Felice Celato)
Chi scrive un blog o – più semplicemente – ama seminare argomenti di discussione su quel che gli interessa, non può proprio restare sorpreso di ricevere critiche, proteste e talora biasimi (per la verità insieme ad affettuosi consensi); ma, stavolta, devo aver proprio esagerato se, invece di un biasimo, mi è prevenuta addirittura una ammonizione preventiva, da un amico carissimo che mi conosce pure bene; affettuosa, per carità, ma pur sempre un’ammonizione preventiva. Alla quale, proverei a rispondere nei limiti del nostro affettuoso chiacchierare.
“Vale – dice, più o meno, l’amico corrucciato – anche per il 1° maggio, la tua proposta indisponente che, qualche giorno fa hai avanzato per sospendere il 25 aprile? Ti rendi conto che, stavolta, l’indisponenza sarebbe più…indisponente che mai? Ma come? Vorresti sospendere la festa del lavoro? Non hai proprio sensibilità alcuna per i tanti simboli e i tanti sentimenti che racchiude, ormai da quasi centocinquant’anni? Non ti scuote un brivido di emozione nello scorrere le immagini dei cortei, delle piazze gremite, delle bandiere al vento, dei focosi comizi? Non sei stato un lavoratore anche tu, come tua moglie, tuo padre, i tuoi nonni? E uno di essi persino minatore negli USA? Non sono lavoratori i tuoi figli? Non ti dice nulla il fatto che la stessa Chiesa (che dici di amare tanto) abbia voluto manifestare la sua vicinanza ai lavoratori indicendo, proprio il 1° maggio, la festa di San Giuseppe Lavoratore? Insomma: non ti vergogni (o almeno non ti stanchi tu stesso, ogni tanto) di questa tua vena dissacratoria e iconoclasta?”
Calma, amico mio! Prima di dar corso alla lapidazione (del sottoscritto), almeno ragioniamo insieme per qualche riga.
L’altro giorno dicevo semplicemente che “secondo me in crisi c’è proprio il concetto di festività civile; che, per sua natura, postula, anzitutto, l’effettività di una civitas; e, poi, l’esistenza di un qualcosa del passato (sperimentato o creduto o immaginato) che tuttora, nel presente, esplichi o possa esplicare un effetto aggregante dal punto di vista valoriale o che animi un senso di appartenenza giustamente fondato e anche fondante”.
Si può essere o non essere d’accordo su questa mia affermazione; ma se per caso essa fosse almeno accettabile come opinione (magari non condivisa), non ti pare che gran parte di essa ben si attagli anche al 1° maggio? O ti pare che la civitas sia tornata effettiva? Che i sindacati del passato (quelli dei lavoratori) esplichino ancora un apprezzabile effetto aggregante dal punto di vista valoriale, un po' più oltre del recinto dei pensionati?
E poi, per spostare un po' il discorso dal contingente (l’imminente 1° maggio) al (provvisoriamente) permanente (le mie opinioni indisponenti), lasciami, caro amico mio, qualche riga di spazio pro domo mea: contro il gusto della melassa [inteso per tale: il non esprimere opinioni che possano risultare sgradevoli ai più; preferire le rappresentazioni semplicistiche, perché il complicato stufa; non avventurarsi mai nei fatti urticanti ma restare sempre nel limbo delle proclamazioni accomodanti; insomma: dire tutto nebulosamente per non dire niente assolutamente], contro il gusto della melassa, dicevo, ingaggio quando posso un’aspra battaglia personale, che è il massimo che possa fare un anziano a riposo: e, come sai, così, oltre ad esorcizzare il decorso del tempo scrivendo qualche post, spesso mi infervoro in qualche discussione, per almeno contrastarlo, ‘sto gusto della melassa; solo, però, con persone con le quali valga la pena di discutere (purtroppo sempre meno numerose); e con qualche tassista; e solo, ormai, sui quattro argomenti che mi scaldano la mente o anche il cuore (oh, si vorrà lasciare all’anziano un diritto di selezione dei propri sdegni? O no?): (1) le percezioni infondate e le opinioni scontate che costituiscono il pabulum della melassa; (2) il politically correct che ne è la regola, adorata dagli elusionisti; (3)il degrado antropologico del nostro paese, che ne costituisce il presupposto. A questi argomenti melasso-correlati, come sai, si aggiunge, un po' solitario, il quarto, un po' meno pubblico: (4) la insopportabile banalizzazione del religioso. Basta: il resto non mi scalda più. E i miei fervori coi pochi che mi corrispondono, in fondo, fanno poco danno; tutt’al più si limitano a mettere a rischio il godimento di una piacevole cena fra amici o a consumare il poco tempo che prende la lettura di un post.
Comunque, amico mio, stai tranquillo: non avevo l’intenzione che mi attribuisci! Semplicemente non avrei parlato del 1° maggio, oggi. Tutto qua; tu, però, leggiti l’articolo del sociologo Luca Ricolfi su Il Messaggero di oggi (Tutto cambia, tranne il sindacato): qualche riflessione te la farà fare, senz’altro.
Roma 28 aprile 2018
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