martedì 10 aprile 2018

Letture

Antiche storie dell’oggi
(di Felice Celato)
Complice la pioggia abbondante di questi giorni, mi è stato facile (oltreché gradito) immergermi nella lettura di un libro di storia, interessante e - secondo me - straordinariamente denso  di insegnamenti.
Da tempo, ormai, amo i libri brevi: massimo 300 pagine per la letteratura, massimo 200 pagine per i saggi; il di più, spesso, mi annoia e talora – con l’età sono diventato (più) insofferente alle lungaggini – mi irrita. Il libro che mi appresto a raccomandarvi, con le sue 150 pagine scarse, risponde a questa senile esigenza e, per di più, si giova di una prosa chiara ed anche blandamente ironica. Si tratta di un libro di Lorenzo Tanzini, medievalista accademico ma – mi pare – attento conoscitore dei meccanismi tecnici e socio-psicologici connessi con la nascita, lo sviluppo e la gestione del debito pubblico in periodo di crisi: 1345. La bancarotta di Firenze – Una storia di banchieri, fallimenti e finanza (Salerno editore, 2018). Il motivo della raccomandazione è semplice: dalla storia della genesi della crisi fiorentina, delle sue pesanti e diffuse conseguenze, delle vie faticosamente sperimentate per uscirne e – infine – dell’emersione dei valori che – da sempre – consentono di tirarsi fuori da siffatte situazioni, si apprendono molte cose che ai più sembrano sfuggire (almeno a giudicare dalle stupide retoriche d’uso corrente, da noi, sulle crisi finanziarie di banche e di paesi); e che si farebbe bene a meditare se non si intende rimanere prigionieri delle favole popolari.
Il 1345 e gli anni immediatamente successivi, come forse qualcuno di noi più esperto di storia economica ricorderà, furono anni “bestiali” per la storia della Firenze a cavallo fra tardo-medioevo (Dante era morto solo una ventina di anni prima) e Rinascimento: Edoardo III di Inghilterra non aveva rimborsato gli ingenti prestiti effettuati dai banchieri toscani per supportare una delle tante guerre che si combattevano in quei tempi (anche allora c’erano molti intrecci fra finanza pubblica e privata, anche allora cioè molte banche erano detentrici di “cambiali” degli stati); le banche dei Bardi e dei Peruzzi erano conseguentemente fallite e con esse erano falliti molti mercatanti  ad esse collegati o che vi avevano depositato i loro risparmi (toh! anche allora il passivo delle banche era fatto di soldi dei cittadini!); era crollata la fiducia nei mercati, anche allora presupposto fondamentale di ogni commercio; c’era stata pure una forte carestia, seguita (1348) addirittura dalla peste nera; lo scenario internazionale (e meta-regionale) era quanto mai inquieto e le guerre (grandi e piccole, per la difesa o per la crescita) erano assai costose e certamente non aumentavano la fiducia degli scambi. Tralascio qui di accennare agli intrecci politici “internazionali” che rendevano (anche allora) la miscela finanza – economia – politica quanto mai delicata. Fatto sta che il Comune (di Firenze), per la condizione della sottostante economia, non riusciva più a raccogliere le imposte, né quelle, appunto, imposte né quelle sotto forma di prestiti più o meno forzosi; e dunque dovette dichiarare bancarotta.  Seguirono anni di ristrutturazioni, cancellazioni e impacchettamenti vari del debito pubblico fiorentino (messo tutto in un “contenitore”, forse non a caso chiamato “Monte), di turbolenze esagitate fra guelfi e ghibellini (si sa come son fatti – pardon! come erano fatti – i fiorentini, anche da questo punto di vista i più italiani degli italiani), di avvicendamenti politici anche violenti (il famoso tumulto dei Ciompi è appunto del 1378); finché, piano piano, cominciarono ad emergere (o forse a riemergere) quelle virtù civiche che, dopo quegli anni bui, portarono alla nascita della Firenze del ‘400; e che – da sempre – governano le ripartenze o, addirittura, le rinascite: il realismo nella gestione della crisi, la franchezza nella esposizione dei problemi, il grande e diffuso dinamismo imprenditoriale dei cittadini, la mediazione intelligente fra le esigenze dei ceti lavoratori e le mire delle élites capitaliste, l’affermarsi di un’illuminata élite di banchieri ed imprenditori nel governo della città, la saldezza dei principi di libertà e credibilità del Comune: tutto  ciò dette luogo ad un amalgama originalissimo di ricerca del profitto e senso dello stato dalla quale [trasse origine] buona parte della Firenze del Rinascimento.
Fin qui il libro, sintetizzato brutalmente. Sulle (eventuali?) indicazioni da trarre dalla storia e per il presente, lascio ben volentieri ai miei pazienti lettori che, magari, vorranno leggere il libro, il gusto di estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Nessuno si pentirà – ne sono certo – del breve tempo dedicato a questo libro.
Roma, 10 aprile 2018 (Siblings day, festa dei fratelli)

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