sabato 7 aprile 2018

Spigolature Italiche

Il vincolo liberale
(di Felice Celato)
Quello che, secondo me, anche in questa fase di civile vuoto pneumatico, dovrebbe preoccupare gli Italiani (o almeno: quegli Italiani che abbiano conservato alla loro testa non la sola funzione otodiastasica; in napoletano: quelli che non tengono a’ capa pe’ spartì e’rrecchie) non è tanto il contenuto dei programmi che la politica dissennatamente ha allineato senza alcuna considerazione della loro contraddittorietà, praticabilità e finanziabilità: saranno i fatti (o i prestatori di mezzi finanziari) che “giustizieranno” molti di questi programmi fantastici (chi vuole rendersene conto meglio, può sfogliare il libro, di Roberto Perotti, Falso, Feltrinelli, 2018). Molto più, secondo me, occorre preoccuparsi degli apparentamenti ideali, ovvero dei richiami all’esemplarità di altrui esperienze che a me paiono… esemplarmente sgradevoli.
Ci pensavo oggi, leggendo sul Corriere della Serae su Il sole 24 ore le “cronache” delle imminenti elezioni in Ungheria che vedono largamente favorito l’attuale Presidente Orban. Diciamoci la verità con franchezza brutale ma rispettosa della grande storia dell’Ungheria: non credo che l’Ungheria di oggi possa costituire un modello cui ispirare una linea politica occidentale e moderna; né, francamente, mi verrebbe in mente di reclamizzare una linea politica Italiana con il selfie strappato al “piccolo padre dell’Europa illiberale” (copyright: Il sole 24 ore) che, sembra, vada fiero di questa etichetta.
Ma, se ci pensate, Orban non è l’unico esempio di affinità elettive per lo meno imbarazzanti. Abbiamo sentito di tutto, in Italia, in questi ultimi tempi: dall’esaltazione di Maduro, all’innamoramento (incomprensibile) per autocrati come “l’amico Putin” o l’ottimo Erdogan, l’Italia sembra risuonare di suggestioni illiberali che francamente – alla vigilia di una prossima (?) formazione di un nuovo governo – non possono che preoccupare; tanto più perché queste suggestioni sembrano aver costituito un forte collante elettoralistico che in qualche modo ha determinato anche la composizione culturale dei “rappresentanti”. Come acutamente osserva oggi, sempre sul Corriere, Angelo Panebianco, infatti, il modo in cui un partito è nato, la sua piattaforma ideologica di partenza, le parole d’ordine che ha costruito… sono servite a reclutare persone anziché altre, hanno creato, nutrito, forgiato il suo personale politico. E ciò – annota ancora Panebianco – quali che siano le dichiarazioni del momento di questo o di quel leader, quali che siano i tatticismi della politica politicienne che accompagnano le negoziazioni volte a stringere patti politici.
Su questo blog abbiamo parlato più volte – se lo ricorderanno i lettori più attenti e, comunque, per i più distratti, da ultimo, pochi giorni fa col post del 23 marzo Italica, Il costo della democrazia – della democrazia illiberale (copyright: forse Fareed Zakaria) come esito, letale, della assenza di uno statuto liberale consustanziale ad ogni sistema che voglia considerarsi utilmente democratico. Anzi, esattamente un anno fa (il 7 aprile del 2017), commentando un… commento di un amico, proprio qui ero arrivato a dire (mi si scusi l’autocitazione): non saprei che farmene dei cosiddetti valori democratici (in termini più rigorosi: di governanti scelti democraticamente dalla maggioranza) se non fossero indissolubilmente connessi coi valori liberali che stabiliscono il primato della persona sullo stato e, a questo, fissano limiti invalicabili.
E dunque si comprende bene come, al momento, più assai della congruenza dei tanti discorsi programmatici, ciò che mi sembra urgente focalizzare ossessivamente è il fondamento liberale della nostra società; di fronte al quale persino si scolorisce il tema del che cosa il nuovo governo potrà fare per adempiere all’eterna condanna del nostro Paese: ogni promessa (elettorale) è debito (pubblico). Anche se da anni, poco altro abbiamo saputo fare, ora, forse, siamo arrivati al limite in cui il vincolo esterno può proteggerci da altre dissennatezze, checché sia stato promesso. È ancora nelle nostre possibilità prenderne atto e porvi rimedio, svegliandoci dalle nostre infantili narrazioni (non sarebbe la prima volta che le promesse elettorali non vengono mantenute); e, starei per dire, è anche legittimo sperare che il prossimo governo debba prenderne atto (in fondo – ripeto: al di là di quanto è stato promesso – non è escluso che sia costretto a  fare meglio, da questo punto di vista, di molti altri che l’hanno incoscientemente preceduto). Ma l’autonoma tutela del vincolo liberale mi pare assai più decisiva, quand’anche abbia, da noi, già sofferto di qualche vulnus
Altro che Orban, Maduro e compagnia brutta! La democrazia liberale (ed Europea!)  è il vincolo che l’Italia deve sentire irrinunciabile. Con qualsiasi governo. Whatever it takes, direbbe Draghi.
Roma 7 aprile 2018

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