Ricette giuste
(di Felice Celato)
In questi giorni di nostrane, infinite discussioni sul niente per rumorosamente a niente approdare, mi ha, in qualche modo, confortato la lettura del discorso che Emmanuel Macron ha tenuto l’altro giorno difronte al Parlamento Europeo di Strasburgo. Ricco di colti riferimenti, variamente – e talora futilmente – commentato in Italia, il discorso del Presidente Francese mi è parso, ad un tempo, un’appassionata esposizione delle preoccupazioni che comincia a generare lo strisciante indirizzo “ideologico” di molti dei paesi dell’Unione (fra i quali il nostro) e un’efficace riaffermazione di valori Europei della quale – proprio per tale ragione – sempre più sento il bisogno: une nouvelle souveraineté européenne come risposta all’illusion du pouvoir fort, du nationalisme, de l’abandon des libertés e come presidio della democrazia liberale; perché, dice Macron, face à l’autoritarisme qui partout nous entours, le réponse n’est pas la démocratie autoritaire mais l’autorité de la démocratie.
Mancavano, come è fin troppo ovvio, riferimenti specifici all’Italia, ma – lo confesso – molte delle considerazioni di Macron sembravano perfettamente attagliarsi al milieu gesticolatorio – perché a questo qui siamo – del nostro “dibattito” politico.
Del resto, la stessa metafora dei “sonnambuli” (je ne veux pas appartenir à une génération de somnambules, je ne veux pas appartenir à une génération qui aura oublié son propre passé ou qui refusera de voir les tourments de son propre présent) fotografa certe idee che, da tempo, ci siamo fatti del nostro approccio alla concretezza dei nostri problemi. Presa in prestito – credo – dal noto libro I sonnambuli – Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra, di Christopher Clark (cfr. il post dell’8 aprile 2016 intitolato Storie – Noi, nuovi sonnambuli), la metafora di Macron si riferisce proprio all’atteggiamento delle classi dirigenti Europee che hanno “accompagnato” il mondo alla I Guerra Mondiale: sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubi ma ciechi di fronte alla realtà. Essi filtravano la realtà mediante narrazioni che erano il prodotto di frammenti di esperienza che si saldavano a paure, proiezioni psicologiche e interessi mascherati sotto forma di massime; ma benissimo riflette, a mio parere, le vaghezze della nostra esagitazione, a tutto determinata con indeterminate pulsioni, spesso preda di illiberali fascinazioni (cette illusion mortifère) che minacciano da vicino i fondamenti più preziosi della nostra storia politica, come dicevamo qualche giorno fa (Spigolature Italiche, del 7 aprile).
Forse non c’è (ancora) da temere che molti inascoltabili proclami – forse tonali più che sostanziali – si trasformino in azioni politiche nel nostro contesto; e tuttavia, secondo me, anche i toni richiedono vigilanza, perché prescrivere una medicina sbagliata può diventare letale una volta che – malauguratamente – la si assuma: delle volte ho l’impressione che, da noi, un medico sonnambulo si affanni a prescrivere anticoagulanti ad un malato in preda ad una violenta emorragia. Ciò che circola per l’aria viziata del nostro stanco paese (almeno a parole) sono medicine che favoriscono il male.
Apro una parentesi nostalgica per arrivare alla “ricetta” che, invece, secondo me, guarisce: molti, molti anni fa, quando, da liceale (forse nel ’66), mi affacciavo alle prime riflessioni “politiche” con…. giovani entusiasmi liberali (ora gli entusiasmi sono un po' fanés e, in larga parte, si sono trasformati – lo riconosco – in… anziani sdegni libertari), lessi un libro che non ritrovo più (si deve essere perso in uno dei miei traslochi), scritto da Milton Friedman ancora prima che gli fosse conferito il Premio Nobel per l’Economia (1976): Capitalismo e libertà, del 1962.Grazie ad internet tuttavia ho ritrovato una delle frasi che allora più mi aveva colpito e che, riletta oggi, mi è apparsa subito contenere tutti i principi attivi della giusta ricetta per il caso nostro: Per l’uomo libero, il suo Paese è l’insieme degli individui che lo compongono, e non un’entità che li trascende. Egli è orgoglioso di un comune retaggio ed è fedele alle comuni tradizioni, ma considera il governo come un mezzo, come uno strumento, non come un dispensatore di favori e di doni, e nemmeno come un padrone o una divinità che debba essere venerata o servita ciecamente. C’è tutto un trattato di farmacologia, qui, per i buoni medici della nostra società.
Roma 21 aprile 2018 (Natale di Roma, 2771° anno dalla fondazione, molti anni e anche portati male)
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