giovedì 3 maggio 2018

Conversazioni asincrone

Alfie Evans e altro
(di Felice Celato)
Abbiamo tutti, chi più chi meno, seguito, con passione e pietà, la triste vicenda del bambino inglese, Alfie Evans, appunto, gravemente malato, sottratto, purtroppo dalla morte, alle incerte cure e anche all’infelice ruolo di simbolo di una specie di contesa ideologica fra diritti dei genitori (alla speranza contro ogni speranza) e pretesa dello stato (alla ragione della incuranda incurabilità).
Così delicata (e penosa) è la vicenda che mi era parso bene nemmeno entrare in argomento, viste le ampie polemiche (non sempre commendevoli, per la verità) che ha suscitato, anche in ambito strettamente cattolico. C’è però uno spunto del tutto autonomo (ancorché correlato) che, in questi tempi di preoccupazione per il futuro della liberal democracy, mi pare giusto considerare sotto il profilo del mero principio: il rapporto fra il diritto di un individuo e l’interesse dello stato, in un contesto che si vorrebbe (almeno da me) quanto più liberale possibile. 
Lo spunto, non giuridico-costituzionalistico ma semplicemente politico-culturale, è venuto fuori da un’osservazione estremamente acuta sollevata da uno dei miei abituali sparring partnersrivendicheresti -mi domanda l’amico - con lo stesso slancio  il diritto alla libera determinazione dei genitori nei confronti dello stato se la materia non fosse la cura di un probabile inguaribile ma, invece, il rifiuto – per motivi religiosi – di autorizzare la trasfusione di sangue su un figlio non altrimenti guaribile? 
In principio, così posto il tema, mi verrebbe naturale essere estremamente restrittivo: lo stato non deve ingerirsi nelle determinazioni dell’individuo (per sé o per un suo figlio) quando esse non ledono diritti individuali di altri, essendo primario (se non esclusivo) dovere dello stato garantire la libertà di tutti (cittadini, umani, attuali e futuri); e quando non ledono interessi collettivi selettivamente ritenuti degni di superiore tutela.
E poi, più radicalmente, (ed è forse questo il problema nel caso dei genitori di Alfie), esiste un diritto alla speranza? E se sì, lo si può (anzi lo si deve) tutelare sempre o solo finché non confligga con uno specifico interesse collettivo (per esempio: quello a non “sprecare” risorse per perseguire disperate speranze)?
Di diritto alla speranza, non ho mai sentito parlare nemmeno ai tempi dei miei lontanissimi studi universitari (anche se, credo, se ne sia discusso a proposito della pena dell’ergastolo); ma la speranza mi pare così coessenziale al vivere umano che ben difficilmente la vita dell’uomo potrebbe pensarsi prescindendo da essa. La  Chiesa, eterna maestra di umanità, ha individuato chiaramente (prima ancora di occuparsi della Speranza come virtù teologale e co-essenza della fede) questa dimensione essenziale dell’umana esistenza: Ogni agire serio e retto dell'uomo è speranza in atto (cfr. Spe salvi, 35).E dunque non dovrebbe essere difficile riconoscere che ogni uomo reca in sé (per natura, direbbero i contestati giusnaturalisti) il diritto di sperare (che, quindi, lo stato avrebbe il dovere di tutelare). Ma anche quando la speranza confliggesse con la ragione? 
Sì, mi verrebbe di rispondere, perché non è lo stato che può tutelare la ragione, nel senso che si poterebbe paradossalmente immaginare anche il diritto all’irragionevolezza; purché ovviamente esso non confligga con altrui diritti; e purché non sacrifichi altri interessi collettivi selettivamente ritenuti degni di superiore tutela, come sarebbe – nell’ approccio dello stato inglese sulla vicenda Alfie – l’interesse collettivo alla corretta allocazione delle risorse (per definizione scarse) della comunità. L’ interesse collettivo, d’altronde, non entrerebbe nemmeno in gioco se  le cure disperate fossero sostenute da altri rispetto allo stato stesso, come ad un certo punto si era prospettato, più o meno confusamente, per Alfie.
E dunque, amico mio, alla luce di queste considerazioni mi sentirei di confermare lo slancio col quale, quando ne abbiamo parlato, mi era parso di poter invocare il diritto alla libera determinazione dei genitori (nel caso di specie) nei confronti di uno stato che volesse sovrapporre ad esso le sue ragioni, a questo punto (se fosse venuta meno anche quella della tutela della corretta allocazione delle risorse) meramente ideologiche.
Il caso delle trasfusioni che tu acutamente sollevi è diverso, nemmeno troppo sottilmente, però: qui c’è un diritto individuale dei genitori alla libera formazione (anche religiosa) dei propri figli, diritto da tutelare, secondo noi (veri) liberali; però, finché non confligge con la tutela del diritto individuale alla vita del figlio minore, che non è – ovviamente – nella disponibilità dei genitori stessi. E non c’è dubbio che se fra i due diritti individuali si determinasse un conflitto, lo stato avrebbe il dovere di tutelare quello maggiore (il diritto alla vita, ovviamente), imponendo la trasfusione.
Roma 3 maggio 2018


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