Studiare con fede
(di Felice Celato)
Studiare con dubbio e agire con fede: così una volta (altri tempi, per carità!) si insegnava agli uomini d’azione (politici o manager che fossero). Credo che la frase fosse di Adriano Olivetti (e quindi forse pensata per i manager); ma, in fondo, essa riecheggia il celebre ammonimento di Luigi Einaudi ai politici: conoscere (con tutte le fatiche e i dubbi che il conoscere comporta) per deliberare (con tutta la necessaria determinazione attuativa). Del resto l’azione (sia essa del politico che non voglia restare un cialtrone, o del manager che voglia guadagnarsi quello per cui è pagato) è la sintesi attiva di un percorso che parte da un’infinita serie di dubbi sul da farsi; dubbi che vanno coltivati (dubium initium sapientae, diceva, mi pare, Cartesio) e affrontati, uno per uno, per discernere (direbbe sant’Ignazio), setacciare, vagliare e anche isolare ciò che può impedirci di fare scelte responsabili. Certo – sarà capitato a molti di noi – si può rimanere nei dubbi (non liquet, dicevano i Romani) e quindi, in coscienza, non prendere alcuna determinazione all’azione: se l’azione è procrastinabile; in fondo la formula delibero di non deliberare l’abbiamo inventata noi, magari, talora, come supporto all’inerzia! Ma spesso, malauguratamente, l’azione, procrastinabile non lo è; e l’uomo d’azione deve riconoscere che l’urgenza del fare gli impone un rischio aggiuntivo, da gestire (ovviamente) con tutte le prudenze del caso e secondo le tecniche appropriate.
Così, come dicevamo all’inizio, in altri tempi.
Oggi ha campo l’esortazione opposta: studiare con fede ed agire con dubbio.
Che vuol dire? Vuol dire prendere una serie di assunti, i propri saldi pre-giudizi (o gli altrui diffusi pre-giudizi, se politicamente paganti), e poi cercare di cacciare la realtà, a forza, all’interno di essi. Del resto la recente campagna elettorale (in sé destinata a presentare ai cittadini ciò che si è studiato, progettato per la società e il Paese) trasudava di fede: nelle analisi, nelle prospettive, nelle azioni promesse. Poiché però non sempre la realtà si presta ad entrare, alla fine, nella forma prestabilita (quella che si vuol dare studiando con fede), allora ci si tiene la possibilità di, poi, agire con dubbio! Per bilanciare “praticamente” lo studio “sforzato”, s’intende; perché quelli che studiano con fede detestano le asperità della realtà, preferiscono gli slogan e si affezionano tanto ad essi che, semmai, si riservano di, poi, aggiustarsi lungo il percorso, piegando l’azione alle più acrobatiche giravolte (tanto, diceva qualcuno, col passare del tempo nessuno si ricorderà per che aveva votato e, chi è stato votato, a che diavolo pensava quando aveva promesso); del resto per queste acrobazie c’è pronto un titolo nobile: sano pragmatismo, per la verità non disprezzabile principio di politica.
E allora eccoci arrivati ai possibili papocchi, dove occorrerà riuscire a mettere in un unico canestro fedi antitetiche, la riduzione delle tasse con l’aumento delle spese, il Nord con il Sud, la “tolleranza” per l’euro con l’intolleranza per le regole che presuppone, il sovranismo con la faticosa professione di europeismo, etc.
“Conforta”, peraltro, leggere, come forse voleva dire Cerasa su Il Foglio di ieri, che a livello di sottostanti “emozioni” dei rispettivi elettorati, esiste – ripeto: forse – una vasta coincidenza di magmatici sentire, di appassionate verbigerazioni su molti temi (Europa, mercati internazionali, immigrazione, conti pubblici, giustizia, stato di diritto, apparentamenti internazionali, etc), come è facile che accada quando c’è – questa sì – coincidenza di metodo nella promozione e nel dragaggio del consenso.
D’altra parte, queste coincidenze (nei sentire e nel metodo) sembrerebbero promessa di coesione e stabilità, cose non inutili (come sempre abbiamo proclamato); ovviamente finché il conseguente agire con dubbio riesca a tenere insieme l’azione dei partiti che si apprestano a diametralmente (Nord-Sud, tasse-spese, lavoro-pensioni) associarsi nel governo del paese.
Ci piace o non ci piace questa prospettiva? Credo che sia abbastanza irrilevante: forse è meglio del votismo. E soprattutto del votismo in costume da bagno.
Majora premunt, dicevano i Latini per dire che cose più importanti si affacciano a distoglierci da ciò che stiamo facendo o pensando; e fra queste majora ce ne sono di decisive per il futuro della baracca. Per quanto, magari, alcune di esse siano state studiate con fede, non ci resta che sperare che l’agire con dubbio, poi, ci protegga dal peggio. Di meglio, per sperare, non vedo. I tempi sono senz’altro interessanti, come direbbero i cinesi.
Roma 11 maggio 2018
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