Appunti da letture
(di Felice Celato)
Come
dicevo solo ieri, il bandolo della matassa che si aggroviglia intorno a noi ci
sfugge, come spesso accade quando gli eventi ci sommergono di emozioni e ci
oscurano l’intelligenza.
E
pur tuttavia è difficile sottrarsi al fascino di una lettura “olistica” di
quanto accade in Europa in questi mesi, come in fondo tentano di fare numerosi
commentatori, in Italia e all’estero, ovviamente con diverse chiavi
interpretative, talora inquinate (almeno da noi) da intenti ideologico-propagandistici
che trovo francamente inaccettabili (non foss’altro per rispetto dei tanti
morti) oltre che pericolosi.
In
questo contesto, mi ha colpito (sul WSJ
di oggi) un’analisi del commentatore americano Bret Stephens, che già ho citato su questo blog almeno un paio di volte (Il buon Europeo del 25 novembre e Radici del 21 ottobre ultimi scorsi) proprio sul tema della crisi di identità culturale e morale dell’Europa.
L’articolo è troppo lungo per riportarlo qui; ma vale la pena di citarne alcuni
passaggi che, secondo me, ben ne sintetizzano il senso.
Anzitutto
il titolo: L’Europa è persa (helpless)? Poi la diagnosi: Un popolo che non crede in nulla, nemmeno in se stesso, è destinato a
sottomettersi a qualunque cosa (People who believe in nothing, including
themselves, will ultimately submit to anything). Infine la cura (ancora)
possibile: Ciò che l’Europa deve
veramente imparare da Israele è la sua lezione morale. E precisamente che
l’identità può essere un grande tutore ( a great preserver) della libertà e che le società libere
non possono sopravvivere come tali se accedono a progressivi compromessi con i
barbari (progressive accommodations to barbarians).
Non
voglio dire che questa lettura “olistica” sia quella giusta, perché proprio –
come ripeto – il bandolo della matassa ci sfugge (o almeno mi sfugge). Però
vale certamente la pena di pensarci su.
Roma, 27 luglio 2016
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