sabato 9 luglio 2016

Soliti mali

Banche d’Italia
(di Felice Celato)
L’Italia, terra amante delle bufale e delle caciare, “affronta” da par suo la crisi che incombe sul suo sistema bancario (di cui, da tempo, si negano – con altisonanti proclami – i gravi problemi, quasi come non fossero passati ormai cinque anni da quando esplose la crisi della più martoriata e della più antica delle nostre grandi banche, il Monte dei Paschi di Siena, tuttora al centro della crisi di sistema). L’Economist addirittura dedica all’argomento una copertina raffigurante un autobus, con la scritta, in Italiano, Banca – la società di autopreservazione, pencolante su una rupe; e conclude l’articolo con un’ovvietà della quale noi, invece, fatichiamo a renderci conto: è dura per le banche prosperare se l’economia dattorno non prospera. E difatti il problema esplosivo è quello dei crediti (verso famiglie ed imprese) di dubbia esigibilità: qualcosa come 360 miliardi di €, di cui 200 in vera e propria “sofferenza”;  di questi, pare di capire, circa 120 miliardi di € coperti da accantonamenti,  largamente insufficienti perché una dismissione in massa di questi crediti deteriorati, ai valori di mercato, non falcidi i patrimoni di queste banche (e quindi non metta a rischio l’altra parte dei bilanci delle banche – il lato delle passività – costituita – lo sapevate? – dai risparmi degli italiani ivi depositati o investiti). Una notazione al riguardo aiuta a comprendere….l’italianità del problema: lo scarso valore di mercato dei crediti deteriorati dipende, certamente dalla qualità di tali crediti, ma assai di più dalle procedure per il loro anche parziale recupero che la stampa specializzata in materia finanziaria stima, per l’Italia, in 7/8 anni contro i 2/3 del resto del mondo.
Non è il caso di addentrarsi, qui, nei meandri di questo tipo di problemi, la cui difficile soluzione si connota di tecnicismi finanziari e regolamentari europei ma origina (manco a dirlo) dal livello del nostro debito pubblico e dalla sua indomita tendenza alla crescita, magari strisciante ma crescita. Giova forse, invece, cogliere qui quella che ormai è lettura diffusa dei nostri atteggiamenti sulla materia; per farlo, anziché spendere parole mie ormai consunte, vale forse la pena di riportare alcuni passi di un articolo dedicato al tema su un altro organo di stampa internazionale, fra i più “autorevoli” in materia economica, il Wall street journal (edizione europea di ieri): L’Italia fronteggia una acuta crisi bancaria e ancora una volta la classe politica del paese si pone alla ricerca di qualcun altro da biasimare. Così è  l’Inghilterra che inietta incertezza nell’economia europea votando per il “leave”; oppure la Germania che pone il veto per un intervento pubblico di emergenza di 40 miliardi a carico dei contribuenti; oppure l’Euro che impedisce le svalutazioni come via d’uscita per il nostro debito. Ma….per decenni il sistema bancario Italiano è stato noto per le sue relazioni compiacenti (in inglese: clubby relationships) con regolatori e politici che l’hanno tenuto al riparo da acquisizioni dall’estero, dalla concorrenza, dalle dismissioni e dai consolidamenti…..Il problema di Renzi, come di quasi tutti i suoi predecessori, è stato quello di essersi sottratto a una seria riforma del settore…[non ostante che] la salute delle banche sia legata alla salute dell’economia e quella Italiana è ferma, in termini di PIL, a dieci anni fa. [La traduzione, ovviamente, è mia]
Bene, anzi, al solito, male.
Ripeto, qui non è il caso di discutere del problema nei suoi molteplici risvolti; sulla stampa, anche Italiana, ci sono analisi vaste, più o meno competenti, più o meno serene, più o meno affidabili, ma comunque numerose. Ancora una volta, però, è doloroso rilevare la pericolosità della miscela, tipicamente nostrana, della quale amiamo abbeverarci in casi come questo: evasione dalla realtà, strumentali rappresentazioni della stessa, nessuna assunzione di responsabilità, fantasiosa ricerca di astratti colpevoli, procrastinazione pervicace di soluzioni dolorose, sviamento della comprensione dei fatti, incapacità di dirci reciprocamente la verità.
Speriamo bene.

Roma 9 luglio 2016

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