Ridurre
lo stato
(di
Felice Celato)
Eccomi
qua con un’altra segnalazione di letture ariose.
Alcune ve ne ho segnalate nel tempo recente (Il liberismo è di sinistra, di Alesina e Giavazzi; Il liberale che non c’è, di AAVV; per
entrambi vedasi il post Letture liberali
del 7 gennaio scorso; Pensieri
sull’Italia, di Capaldo, segnalato il 12 maggio scorso nel post intitolato Letture); un’altra è questa che vi propongo oggi: Privatizzare – Ridurre lo stato, liberare
l’Italia di Massimo Blasoni, Rubettino ed., 2016.
Si
tratta, anche qui, di un libro che sento assai vicino alla mia sensibilità
attuale (molto vicino) e soprattutto – così a me pare – di una lettura utile
per aiutarci a pensare che la statolatria
della cultura prevalente nel nostro paese ha delle alternative, ariose,
appunto.
Il
libro si divide in due parti: la prima dedicata all’analisi della situazione e
allo scenario Europeo e la seconda alle proposte. Lo stesso autore chiarisce
che la parte dell’analisi – la prima – attinge a dati largamente noti a chi
segue (con preoccupazione, nel mio caso) gli andamenti economici, politici e
sociologici del nostro Paese; e tuttavia la ricostruzione che ne viene fatta da
Blasoni conserva una sua notevole efficacia perché raggruppa, uno dopo l’altro,
quasi tutti i temi principali dello sfascio
(il termine è mio). La seconda, invece, rappresenta quella, se vogliamo, più
originale perché affronta con coraggio e fantasia molti dei nodi culturali
della nostra abitudine al pensiero statalista, dimostrando – come in fondo fa
anche Capaldo nel libro sopra richiamato – che un quadro di soluzioni nuove è
possibile, senza nemmeno rinunciare alle sensibilità più tipiche di una cultura
statalistica.
Come
tutti i libri del genere, secondo me, va letto (almeno nella parte propositiva)
seguendo scrupolosamente l’indirizzo cinese di guardare alla luna e non al dito
che la indica; cioè senza soffermarsi, con feroce acribìa, sulle singole
proposte ma cogliendone l’alternatività, perfettibile – talora e senz’altro –
ma…. rinfrescante.
Il
primo esercizio mentale da fare – mi
pare l’implicito suggerimento di queste letture ariose e anche di questa in particolare – è questo: convincersi
che, se lo stato deve pur sempre regolare (chiaramente e stabilmente) e
sorvegliare (tempestivamente ed efficacemente) le attività economiche e
provvedere a che sia assicurata la tutela delle parti più deboli, non
necessariamente deve anche erogare direttamente i beni e i servizi che di quel
regolamento e di quella sorveglianza costituiscono l’oggetto; perché, come è
dimostrabile in molti campi, quando eroga direttamente servizi lo stato è di
regola più costoso, meno efficace, meno efficiente e più arrogante di qualsiasi
altro operatore che, in regolato e sorvegliato regime di concorrenza, potesse direttamente
erogarli al cittadino. Certo, lo Stato conserverà la difesa (interna ed
esterna) dei cittadini e
l’amministrazione della giustizia (una
giustizia migliore, auspicabilmente); ma il resto dei suoi compiti deve tendere
ad essere quello che abbiamo sinteticamente enunciato (regolare, sorvegliare,
tutelare); per essere, come icasticamente dice Blasoni, un mare che può solo lambire l’isola del nostro privato.
Il
libro, come dicevo, sviluppa brevemente una serie di proposte concrete (scuola,
sanità, welfare, comuni, provincie,
etc) più o meno ben definite nel dettaglio, anche immaginando le inevitabili
transizioni; ma soprattutto chiama ad un atteggiamento nuovo che ha –secondo me
– il vantaggio di apparire una scelta
ineludibile: possiamo, certamente, assecondare il declino continuando ad adorare
una divinità vecchia e dispotica, alla quale ci siamo tuttavia abituati perché
per anni ci ha mantenuto nell’illusione che essa era tutto per tutti. Ma sarebbe
una scelta di breve respiro, nel contesto che ci circonda. E nella situazione
in cui versiamo.
Liberrima, la società nuova in uno stato
nuovo che Blasoni sogna alla fine del libro, è, appunto, un sogno paradossale,
nel quale – si capisce bene – chi arrivasse dall’Italia di oggi non potrebbe
non sentirsi spaesato. Ma, d’altro canto, la cappa statolatrica in cui ci siamo abituati a vivere ne è soltanto
un’antitesi ossessiva che ha anche il difetto di non essere un sogno.
Una lettura
utile, dunque, soprattutto per quelli che fanno più fatica ad allontanarsi
dal “tempio” dello dio-Stato e dal suo
recinto.
Roma,
4 luglio 2016
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