lunedì 4 luglio 2016

Letture liberali / 2

Ridurre lo stato
(di Felice Celato)
Eccomi qua con un’altra segnalazione di letture ariose. Alcune ve ne ho segnalate nel tempo recente (Il liberismo è di sinistra, di Alesina e Giavazzi; Il liberale che non c’è, di AAVV; per entrambi vedasi il post Letture liberali del 7 gennaio scorso; Pensieri sull’Italia, di Capaldo, segnalato il 12 maggio scorso nel post intitolato Letture); un’altra è questa che vi propongo oggi: Privatizzare – Ridurre lo stato, liberare l’Italia di Massimo Blasoni, Rubettino ed., 2016.
Si tratta, anche qui, di un libro che sento assai vicino alla mia sensibilità attuale (molto vicino) e soprattutto – così a me pare – di una lettura utile per aiutarci a pensare che la statolatria della cultura prevalente nel nostro paese ha delle alternative, ariose, appunto.
Il libro si divide in due parti: la prima dedicata all’analisi della situazione e allo scenario Europeo e la seconda alle proposte. Lo stesso autore chiarisce che la parte dell’analisi – la prima – attinge a dati largamente noti a chi segue (con preoccupazione, nel mio caso) gli andamenti economici, politici e sociologici del nostro Paese; e tuttavia la ricostruzione che ne viene fatta da Blasoni conserva una sua notevole efficacia perché raggruppa, uno dopo l’altro, quasi tutti i temi principali dello sfascio (il termine è mio). La seconda, invece, rappresenta quella, se vogliamo, più originale perché affronta con coraggio e fantasia molti dei nodi culturali della nostra abitudine al pensiero statalista, dimostrando – come in fondo fa anche Capaldo nel libro sopra richiamato – che un quadro di soluzioni nuove è possibile, senza nemmeno rinunciare alle sensibilità più tipiche di una cultura statalistica.
Come tutti i libri del genere, secondo me, va letto (almeno nella parte propositiva) seguendo scrupolosamente l’indirizzo cinese di guardare alla luna e non al dito che la indica; cioè senza soffermarsi, con feroce acribìa, sulle singole proposte ma cogliendone l’alternatività, perfettibile – talora e senz’altro – ma…. rinfrescante.
Il primo esercizio mentale da fare – mi pare l’implicito suggerimento di queste letture ariose e anche di questa in particolare – è questo: convincersi che, se lo stato deve pur sempre regolare (chiaramente e stabilmente) e sorvegliare (tempestivamente ed efficacemente) le attività economiche e provvedere a che sia assicurata la tutela delle parti più deboli, non necessariamente deve anche erogare direttamente i beni e i servizi che di quel regolamento e di quella sorveglianza costituiscono l’oggetto; perché, come è dimostrabile in molti campi, quando eroga direttamente servizi lo stato è di regola più costoso, meno efficace, meno efficiente e più arrogante di qualsiasi altro operatore che, in regolato e sorvegliato regime di concorrenza, potesse direttamente erogarli al cittadino. Certo, lo Stato conserverà la difesa (interna ed esterna) dei cittadini  e l’amministrazione della  giustizia (una giustizia migliore, auspicabilmente); ma il resto dei suoi compiti deve tendere ad essere quello che abbiamo sinteticamente enunciato (regolare, sorvegliare, tutelare); per essere, come icasticamente dice Blasoni, un mare che può solo lambire l’isola del nostro privato.
Il libro, come dicevo, sviluppa brevemente una serie di proposte concrete (scuola, sanità, welfare, comuni, provincie, etc) più o meno ben definite nel dettaglio, anche immaginando le inevitabili transizioni; ma soprattutto chiama ad un atteggiamento nuovo che ha –secondo me –  il vantaggio di apparire una scelta ineludibile: possiamo, certamente, assecondare il declino continuando ad adorare una divinità vecchia e dispotica, alla quale ci siamo tuttavia abituati perché per anni ci ha mantenuto nell’illusione che essa era tutto per tutti. Ma sarebbe una scelta di breve respiro, nel contesto che ci circonda. E nella situazione in cui versiamo.
Liberrima, la società nuova in uno stato nuovo che Blasoni sogna alla fine del libro, è, appunto, un sogno paradossale, nel quale – si capisce bene – chi arrivasse dall’Italia di oggi non potrebbe non sentirsi spaesato. Ma, d’altro canto, la cappa statolatrica in cui ci siamo abituati a vivere ne è soltanto un’antitesi ossessiva che ha anche il difetto di non essere un sogno.
Una lettura utile, dunque, soprattutto per quelli che fanno più fatica ad allontanarsi dal  “tempio” dello dio-Stato e dal suo recinto.

Roma, 4 luglio 2016

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