Ancora avventure del C.U.R.
(di
Felice Celato)
In
questi giorni confusi, tragici (mi riferisco alla strage di Dacca), verbosi
(basta ascoltare il nostro Primo Ministro) , inani (mi riferisco ai proclami
dei politici sull’urgenza di fermare lo stragismo dell’ISIS. Come? Nessuno lo
sa e nessuno lo dice, ma tutti fanno finta di saperlo); in questi giorni
vacuamente retorici, caldi e stancanti, mi viene voglia di cambiare argomento,
di uscire dalle ovvie deprecazioni, dal disgusto, dalle preoccupazioni
europeistiche e anche dalle ironiche vicende austriache. E di porvi una domanda
su un piano completamente diverso: vi è capitato mai di rimanere abbagliati di
fronte ad uno specchio?
Tranquilli!
Non sono preso da un attacco di ingiustificabile narcisismo; mi riferisco a
quei piccoli specchi che – da ragazzino – anch’io usavo per abbagliare qualcuno
con qualche raggio di sole captato e convogliato sugli occhi di quel qualcuno,
per confonderlo (magari per farlo cadere dalla bicicletta!). Negli stadi –
deprecabilmente – oggi gli specchietti sono stati rimpiazzati da piccole
luci laser
con le quali tifosi poco civili cercano di confondere il portiere avversario
quando segue attentamente il movimento del pallone. Ma io mi riferisco ai
vecchi specchietti, compagni ormai desueti di qualche lontana monelleria un po’
paesana.
Beh,
talora mi capita di pensare a questo innocente giochetto e di leggervi una
straordinaria metafora. E mi capita quando, per strada, mi pare di imbattermi,
io Camminatore Urbano Rimuginante (C.U.R. appunto), in
qualche minuscola manifestazione di santità o, se volete, di semplice, vera bontà.
Capita
più spesso di quanto non si creda, in fondo siamo spesso più buoni di come ci
dipingiamo (o , tristemente, di come vorremmo essere, presi come siamo dalle
nostre rabbie); basta essere osservatori curiosi ed attenti per rendersene
conto.
E mi
viene in mente l’abissale differenza fra la luce del raggio di sole captato con
lo specchietto e il sole stesso. Se volete, è un paradosso simile a quello
della famosa leggenda di Sant’Agostino che – tutto preso dalle sue riflessioni
Trinitarie – incontra, pare sulla spiaggia di Civitavecchia, un bambino che,
con un secchiello, tentava di travasare il mare in una piccola buca sulla
sabbia. Augustine, Augustine, quid quaeris?
Putasne brevi immittere vasculo mare totum? (Agostino, Agostino, che
cerchi? Pensi forse di travasare tutto il mare in una piccola buca?) pare si
sia sentito dire sant’Agostino da un angelo che voleva ricordargli la grande
distanza fra Dio e l’intelligenza
dell’uomo.
La
sproporzione fra la luce dello specchietto e quella del sole è forse anche più
vasta di quella fra la piccola buca del bambino e il mare Tirreno che forse
aveva davanti. Ma la luce è la stessa, quella del sole e quella dell’umile
specchietto che per un po’ la cattura. E non a caso nelle preghiera Eucaristica
recitiamo (NB: vale solo per quelli che vanno a messa!) “Padre veramente santo, fonte di ogni santità….”
Bene:
la piccola santità che talora ci capita di cogliere per le strade delle città è
solo il piccolo riflesso di Quella vera, ma come Quella può abbagliare e anche
illuminare. Anche il timido specchietto può rifulgere di Quella luce. Vale la
pena di pensarci, forse. Anzi, senz’altro.
Roma
2 luglio 2016
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