Pietro e Paolo
(di
Felice Celato)
Forse
i lettori di questo blog l’avranno
già intuita da un pezzo; ma oggi, festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo (“grata memoria dei grandi testimoni di Gesù
Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica”, per dirla con Benedetto XVI) mi fa piacere ripetere la mia
grande simpatia per l’apostolo Paolo.
Va
da sé – se avesse senso una considerazione del genere – che a San Pietro va
tutta la devozione che si deve (meglio: che noi fedeli dobbiamo) al testimone
diretto della vita di Cristo, al discepolo scelto come pescatore di uomini (Lc. 5,10) per la generosità e la forza del suo
amore, al confermato con lo sguardo nonostante il paradigmatico triplice rinnegamento
(…un gallo cantò. E voltatosi, il Signore
fissò lo sguardo su Pietro e Pietro si ricordò…e pianse amaramente, Lc.
22,61-62), al triplice “confessore” (Simone,
figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?...Signore, tu conosci tutto; tu
sai che ti voglio bene, Gv. 21,15), al primo affidatario della promessa di
cui viviamo noi fedeli anche in questo tempo così confuso (et portae inferi non
preaevalebunt adversus eam).
Ma a
San Paolo, vaso di elezione (Dante,
Inf. 2, 28), fariseo figlio di farisei
(Att. 23,6) e apostolo dei gentili
(Rm. 11, 13), ghermito da Cristo
(Fil.3,12), apostolo per vocazione
(Rm. 1,1), apostolo per volontà di Dio
(2Cor 1,1), desideroso di farsi tutto a
tutti (1 Cor. 9,22), persecutore inorridito del suo stesso operato e
infaticabile viaggiatore per la diffusione della Parola e la crescita del
popolo di Dio, a san Paolo va una mia speciale affezione quale primo interprete
e predicatore dello Spirito del Signore (è noto che la redazione del testo di
Giovanni segue di almeno una generazione la predicazione di Paolo, morto a Roma,
secondo la tradizione, giusto 1950 anno fa, nel 67 d.C.).
All’Apostolo dei gentili la nostra cultura
giudaico-cristiana deve mirabili intuizioni teologiche nelle quali si scorge l’impronta
dell’ispirazione divina e l’orma dell’innamorato di Dio. Come san Giovanni
Battista regge il cardine della porta che spalanca il Vecchio sul Nuovo Testamento,
così San Paolo, vero titano della storia della nostra fede, regge il cardine
della porta che spalanca il tempo del Cristo su quello del Suo Spirito Santo;
lui, controverso scardinatore del recinto della salvezza del suo popolo.
In
questi tempi di eloquenze ruffiane e mollicce, Paolo di Tarso rappresenta per
me anche il modello di un parlare aspro e netto, chiaro persino nella
complessità del suo argomentare, spesso travolgente, talora duro.
A
chi condividesse il senso di questa “simpatia” per l’Apostolo dei Gentili,
tornerei a raccomandare la lettura di un libro di straordinario interesse e di
piacevole lettura, scritto da un romanziere ebreo del secolo scorso (Sholem
Asch: L’Apostolo, Castelvecchi 2013),
già segnalato qui, con un post del 3
settembre 2013.
Roma
28 giugno 2017
Dimenticavo:
auguri a tutti i (tanti) Pietro/Piero/ Piera e Paolo/Paola!
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