….il seguito delle spigolature lessicali
(di
Felice Celato)
Come
speravo (non si pro-voca, cioè non si
chiama fuori qualcuno se non si “desidera” ascoltarlo) il mio post di ieri sul patriottismo ha fatto
fiorire qualche protesta; magari di amici che non vogliono prendere la penna
(si fa per dire: mettersi alla tastiera) e comporre la loro lamentela; ma che
(per fortuna) non si vogliono risparmiare le loro rimostranze vocali, il loro
piccolo scandalo per l’opinione così poco “risorgimentale” che avevo espresso.
E allora ecco fluire una serie di affinamenti.
Prima
di tutto: io mi sento italiano? E poi: che vuol dire sentirsi Italiano?
Certo
che mi sento Italiano! Come potrei non sentirmi tale, io nato da Italiani, nel
centro dell’Italia, io vissuto a Roma per oltre cinquant’anni, io marchigiano
di memorie e nostalgie, io appassionato della nostra lingua? Non più però (o
non diversamente) di quanto mi senta Europeo; e non più di quanto mi senta un
po’ cittadino del mondo occidentale al quale appartengono la mia cultura, i
miei valori giudaico-cristiani, il mio amore per la libertà e per la libera
iniziativa economica, la mia fiducia nella ragione. I miei studi giovanili e le
mie passioni partono certamente da Dante, da Machiavelli, da Manzoni, da san
Tommaso, da Croce, da Pirandello; ma anche da Omero, da Platone, da Aristotele,
da Sofocle, da Ulpiano, da sant’Agostino, da Sant’Ignazio, da Ratzinger, senza
che mi venga mai in mente di pensarne la
nazionalità. E sono arrivate a
Shakespeare, a Pessoa, a Borges, a Freud, a Lorca, a Singer, a Roth, a Camus;
tutti mi sembrano un pezzo del patrimonio della mia umanità. E così Roma, o
Napoli, o Milano mi sembrano “i miei luoghi”, come del resto (in misura
naturalmente diversa) Gerusalemme,
Lisbona, Atene, New York, Londra, Berlino, Parigi, Madrid. Siamo tutti, penso,
un impasto di queste culture; e in questi luoghi abbiamo, un po’ tutti (chi più
chi meno), pensieri, ricordi, emozioni, sentimenti (cumulativamente: la nostra cultura), anche quando opera
qualche barriera linguistica (del resto ormai attenuata dalla nuova koinè) . E dunque, nel tempo, sono forse
diventato….meta-italiano (cioè un italiano andato al di là della sua
italianità).
Ma
tutto ciò può forse impedirmi di vedere (credo con chiarezza) i gravami del
nostro piccolo presente, i rantoli del luogo in cui siamo radicati,
l’involuzione del nostro popolo più vicino, la sequenza della sua crisi ormai
quarantennale? Certamente no! Anzi, proprio la finestra che il mondo moderno ci
consente di mantenere aperta sul resto del “nostro sitz-im-Leben”, del nostro contesto vitale, acuisce il rimpianto
per la perduta lena, per la faglia che si allarga e per (uso un termine gaddiano recentemente rispolverato dal
Censis) l’imbagascimento del nostro
Paese, non solo del suo linguaggio (che pure ne è lo specchio).
Esagero?
Guardiamoci attorno, leggiamo i giornali (non solo uno, magari sempre quello);
ascoltiamo i nostri politici (per esempio quando parlano di riduzioni di tasse
ma non di debito pubblico); “ammiriamoli” al lavoro (per esempio, da ultimo
l’altro ieri, quando si “parlava” di ius
soli in Senato); guardiamo, magari vincendo il disgusto, un po’ di TV
(quando “proclama” i valori “della gente”); giriamo per le strade (attenti a
non farci male e schivando l’immondizia): non si vede dappertutto la “frana”,
lo slittamento più o meno veloce di macerie di una società che pure, a fatica, si era abbarbicata alle pendici del mondo occidentale? E’ più
“patriottico” negarlo o analizzare la situazione senza il “velo” di un
pregiudizio di “italianità” del bello e del buono? Già – dice il mio amico,
raffinato cultore della Grecità – ma l’epicedio
(il canto dolente attorno al feretro) non rischia di “allontanare la reazione
al degrado”?
Eh!
amico mio: nessuna ”reazione” (ammesso che l’età la consenta!) può essere
efficace se ci si nasconde la natura, l’estensione, la profondità del male, se
si preferisce immaginarlo inesistente, o se lo si giudica con indulgenza.
Dici
tu: “ma guarda che tutto il mondo occidentale è in sofferenza!”. E forse hai
ragione, in fondo i drawbacks della
globalizzazione ci sono sfuggiti, ne abbiamo succhiato solo i benefici
illudendoci che ci spettasse il diritto di scelta (i benefici a noi, il resto
agli altri). Mah! Come ci siamo detti altre volte, nella storia come nella
vita, molte cose dipendono dalle dosi: un po’ di aceto sull’insalata può
piacere, troppo può disgustare; un po’ d’acqua può innaffiare, un’alluvione può
travolgere. E così un po’ di “sano amor di patria” (uso il tuo termine!) può
anche essere comprensibile; troppo porta alla cecità; o alla follia (che cos’era il
nazismo se non cieco amore della propria nazione e “della razza”?)
Buona
settimana
Roma
18 giugno 2017 (Festività del Corpus Domini)
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