domenica 18 giugno 2017

Come speravo

….il seguito delle spigolature lessicali
(di Felice Celato)
Come speravo (non si pro-voca, cioè non si chiama fuori qualcuno se non si  “desidera” ascoltarlo) il mio post di ieri sul patriottismo ha fatto fiorire qualche protesta; magari di amici che non vogliono prendere la penna (si fa per dire: mettersi alla tastiera) e comporre la loro lamentela; ma che (per fortuna) non si vogliono risparmiare le loro rimostranze vocali, il loro piccolo scandalo per l’opinione così poco “risorgimentale” che avevo espresso. E allora ecco fluire una serie di affinamenti.
Prima di tutto: io mi sento italiano? E poi: che vuol dire sentirsi Italiano?
Certo che mi sento Italiano! Come potrei non sentirmi tale, io nato da Italiani, nel centro dell’Italia, io vissuto a Roma per oltre cinquant’anni, io marchigiano di memorie e nostalgie, io appassionato della nostra lingua? Non più però (o non diversamente) di quanto mi senta Europeo; e non più di quanto mi senta un po’ cittadino del mondo occidentale al quale appartengono la mia cultura, i miei valori giudaico-cristiani, il mio amore per la libertà e per la libera iniziativa economica, la mia fiducia nella ragione. I miei studi giovanili e le mie passioni partono certamente da Dante, da Machiavelli, da Manzoni, da san Tommaso, da Croce, da Pirandello; ma anche da Omero, da Platone, da Aristotele, da Sofocle, da Ulpiano, da sant’Agostino, da Sant’Ignazio, da Ratzinger, senza che mi venga mai in mente di  pensarne la nazionalità. E sono arrivate a Shakespeare, a Pessoa, a Borges, a Freud, a Lorca, a Singer, a Roth, a Camus; tutti mi sembrano un pezzo del patrimonio della mia umanità. E così Roma, o Napoli, o Milano mi sembrano “i miei luoghi”, come del resto (in misura naturalmente diversa)  Gerusalemme, Lisbona, Atene, New York, Londra, Berlino, Parigi, Madrid. Siamo tutti, penso, un impasto di queste culture; e in questi luoghi abbiamo, un po’ tutti (chi più chi meno), pensieri, ricordi, emozioni, sentimenti (cumulativamente: la nostra cultura), anche quando opera qualche barriera linguistica (del resto ormai attenuata dalla nuova koinè) . E dunque, nel tempo, sono forse diventato….meta-italiano (cioè un italiano andato al di là della sua italianità).
Ma tutto ciò può forse impedirmi di vedere (credo con chiarezza) i gravami del nostro piccolo presente, i rantoli del luogo in cui siamo radicati, l’involuzione del nostro popolo più vicino, la sequenza della sua crisi ormai quarantennale? Certamente no! Anzi, proprio la finestra che il mondo moderno ci consente di mantenere aperta sul resto del “nostro sitz-im-Leben”, del nostro contesto vitale, acuisce il rimpianto per la perduta lena, per la faglia che si allarga e per (uso un termine gaddiano recentemente rispolverato dal Censis) l’imbagascimento del nostro Paese, non solo del suo linguaggio (che pure ne è lo specchio).
Esagero? Guardiamoci attorno, leggiamo i giornali (non solo uno, magari sempre quello); ascoltiamo i nostri politici (per esempio quando parlano di riduzioni di tasse ma non di debito pubblico); “ammiriamoli” al lavoro (per esempio, da ultimo l’altro ieri, quando si “parlava” di ius soli in Senato); guardiamo, magari vincendo il disgusto, un po’ di TV (quando “proclama” i valori “della gente”); giriamo per le strade (attenti a non farci male e schivando l’immondizia): non si vede dappertutto la “frana”, lo slittamento più o meno veloce di macerie di una società che pure, a fatica,  si era abbarbicata  alle pendici del mondo occidentale? E’ più “patriottico” negarlo o analizzare la situazione senza il “velo” di un pregiudizio di “italianità” del bello e del buono? Già – dice il mio amico, raffinato cultore della Grecità – ma l’epicedio (il canto dolente attorno al feretro) non rischia di “allontanare la reazione al degrado”?
Eh! amico mio: nessuna ”reazione” (ammesso che l’età la consenta!) può essere efficace se ci si nasconde la natura, l’estensione, la profondità del male, se si preferisce immaginarlo inesistente, o se lo si giudica con indulgenza.
Dici tu: “ma guarda che tutto il mondo occidentale è in sofferenza!”. E forse hai ragione, in fondo i drawbacks della globalizzazione ci sono sfuggiti, ne abbiamo succhiato solo i benefici illudendoci che ci spettasse il diritto di scelta (i benefici a noi, il resto agli altri). Mah! Come ci siamo detti altre volte, nella storia come nella vita, molte cose dipendono dalle dosi: un po’ di aceto sull’insalata può piacere, troppo può disgustare; un po’ d’acqua può innaffiare, un’alluvione può travolgere. E così un po’ di “sano amor di patria” (uso il tuo termine!) può anche essere comprensibile; troppo porta alla cecità; o alla follia (che cos’era il nazismo se non cieco amore della propria nazione e “della razza”?)
Buona settimana
Roma 18 giugno 2017 (Festività del Corpus Domini)







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