Il tramonto di una nazione
(di Felice Celato)
Di
solito non compro libri nei quali sono raccolti articoli via via comparsi sui
giornali. E ciò soprattutto perché gli articoli, anche quei pochissimi che vale
la pena di rileggere, hanno una loro attualità che spesso si fatica a
recuperare leggendoli in maniera sequenziale su un libro. Tanto più non lo
faccio, quando è molto probabile che quegli articoli li abbia, appunto, già
letti.
Stavolta
ho fatto - con grande soddisfazione - un’eccezione (Ernesto Galli della Loggia: Il tramonto di una nazione - Retroscena della fine, Marsilio
editore, 2017, disponibile in ebook);
non solo perché l’autore, professore di storia contemporanea ed editorialista
del Corriere della Sera, è un
osservatore colto ed attento che leggo sempre molto volentieri e col quale,
molto spesso, integralmente convengo; ma
anche perché la silloge si presta ad una ricostruzione unitaria di un processo
che, come si intuisce dal titolo, ha radici lontane e si dipana inesorabilmente
nel tempo, in modi che può essere utile ricostruire organicamente.
Ed
in effetti così è del libro di Galli della Loggia (GdL), che, peraltro, reca
anche in sé una chiave di lettura unitaria, illustrata in un’ampia introduzione
(molto interessante) che vale senz’altro la pena di tentare di riassumere, per
sommi capi, in questa breve sede; non foss’altro perché di alcuni dei temi ivi
dottamente esposti abbiamo qui, delle volte, fatto cenno magari più modesto.
Dunque,
secondo GdL, all’origine dei nostri mali starebbe una sorta di storico populismo (N.B. il populismo
“buono”, dice GdL, cosa tutt’affatto diverso da quello di cui oggi spesso
discutiamo e – per quanto ci riguarda – ci preoccupiamo e lamentiamo), inteso
come l’istanza politica novecentesca che, volendo colmare la mancata presenza delle “masse popolari” nelle vicende
Risorgimentali e unitarie, si è protesa (con afflato morale generico ma non spregevole) nella rincorsa per fare finalmente un’Italia del popolo,
all’insegna di due fattori: da un lato la
centralità dei partiti e, dall’altro, l’impasto
singolare tra politica e cultura, tra intellettuali e vita pubblica, in nome,
per l’appunto, di ideologie, di prospettive e di valori “popolari”. E così,
nella lunga rincorsa verso i paesi più avanzati che ci circondavano (a un certo
punto coronata da innegabile successo),
non venne in mente a nessuno che forse il populismo aveva rappresentato l’unica
cifra “nazionale” di cui si erano mostrate capaci le classi dirigenti
Italiane….nessuno fu sfiorato dal sospetto che sulla strada fin lì seguita non
si potesse più proseguire….e che proprio il traguardo in certo senso così
inaspettatamente raggiunto imponeva di cambiare strada……Certo l’Italia era
riuscita in un’impresa memorabile – diventare ricca e democratica – ma come
dimenticare che ciò le era stato possibile grazie non poco all’esistenza di un
contesto esterno quanto mai favorevole?...Avremmo dovuto ricordare, insomma,
quanto profondamente e fin dall’inizio l’Italia fosse tributaria del contesto
esterno per la sua esistenza statale e per la qualità politica di questa. E
proprio perciò avremmo dovuto ancor più essere avvertiti degli scricchiolii che
già negli ultimi anni ottanta mandava il mondo postbellico.
Così
non fu: non mettemmo in conto che il
nostro successo era tuttavia roso da un tarlo pericoloso, che quello stesso sfondo populista che aveva accompagnato l’intero sviluppo
della penisola (caratteristico sia della cultura politica cattolica che di
quella comunista) aveva prodotto un
radicamento della democrazia italiana assai anomalo.
Al cuore del populismo…c’è la suggestione
che emana l’idea di popolo, concepito come qualcosa di generale ed
indifferenziato, che di per sé, quindi, consentirebbe di superare ogni divisione…..di
fondare una sorta di originaria armonia
sociale, in ragione della quale non è possibile non accogliere la voce e le richieste di ogni gruppo sociale di qualche
consistenza e che sappia presentare tali richieste in modo adeguato;….con
l’ovvio effetto di un insostenibile sovraccarico di richieste nei confronti del
sistema politico.
In tal modo solidarismo populistico,
soddisfazione degli interessi corporativi, politiche statalistiche di antica e
nuova data…avevano costruito intorno alla democrazia italiana…una vera e
propria gabbia d’acciaio. E così democrazia
cominciò a voler dire, non già controllo sulle decisioni del potere da parte
del più gran numero, bensì l’allargamento al più gran numero del potere stesso
di decidere…con l’ovvio risultato di decisioni prese in tempi lunghissimi,
orientate, più che al bene pubblico, alla tutela degli interessi dei decisori;
e anche perciò farraginose, contraddittorie, costose oltre il dovuto. Spesso di
nessuna decisione.
Dopo
un ampio cenno alla scuola come riflesso di tale “cultura”, GdL conclude: Una nazione al tramonto vuole dire un paese
che non riesce a crescere, che si smaglia e si disunisce e che insieme consuma
una frattura col proprio passato…non riuscendo neppure più ad immaginare un
futuro…..Smarrito il filo della sua vicenda novecentesca, l’Italia odierna è in
una condizione siffatta. Al secolo del suo straordinario exploit sembra destinata a seguire l’ombra oscura
del declino che già incombe. Circa il quale la sola cosa incerta appare quanto
durerà.
Roma
7 giugno 2017
P.S.:
se avrete letto per intero il post,
capirete perché l’ho intitolato Letture
difficili. Per questo ho superato, eccezionalmente, le 800 parole! Me ne
scuso.
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