….ma non solo lessicali
(di
Felice Celato)
La
solita cena estiva sul terrazzo di amici vecchi e provati; menù ideale per
l’estate, splendido riso nero (da me amatissimo) in interpretazione iraniana (suscitatrice, anch'essa, di entusiasmi, più sobri però); conversazione piacevole, come al solito, fra amici
illuminati da un fresco Muller Turgau. Improvvisamente fa irruzione un tema: il
patriottismo. “Va ‘bbè – dice il padrone di casa – ma allora per te che cos’è
il patriottismo?” Di qui la piccola ricerca che segue.
Sgombriamo
il capo da questioni puramente lessicali. Molto sobrio il Devoto-Oli: fervido sentimento di devozione alla patria;
sinonimi: amor patrio, amor di patria, nazionalismo; contrari:
antipatriottismo. Il vocabolario Treccani, aggiunge, alla devozione, l’amore e
l’obbedienza; fra i contrari, invece, aggiunge: sciovinismo.
Si
diffonde di più il Dizionario di Storia
della Treccani: L’impegno profuso, su
molteplici piani (politico, militare, intellettuale, ecc.) in nome della
patria, per l’affermazione, la difesa o l’accrescimento dei valori che essa
esprime. Nel corso
dei secoli ha assunto forme diverse, uniformandosi di volta in volta alla
specificità del contesto culturale, sociale e politico col quale si identificava
o al quale intendeva aderire. Segue una lunga serie di esempi (di
patriottismo) tratti dalle antichità Greca e Romana, dal Medioevo, fino ad
arrivare a Giovanna d’Arco, al contrasto fra ragioni di patria e sentimenti di
lealtà dinastica; tanto che tra 16° e 18° sec. numerosi sudditi affermarono di
combattere per la patria nell’atto di rivolgere le armi contro il loro sovrano,
fino ad arrivare ai francesi che ghigliottinarono Luigi XVI (1793). Nel 19° sec., età del trionfo dello
Stato-nazione, il patriottismo divenne un aspetto chiave della cultura e della
propaganda politica (di stampo romantico, risorgimentale, libertario borghese)
e aderì, caso per caso, a una specifica sintassi politico-ideologica
(monarchico-costituzionalista, repubblicana, massonica, socialista, anarchica,
irredentista), contribuendo a un nuovo processo di sacralizzazione dell’idea di
patria (del binomio patria-nazione), ulteriormente maturato nel corso del
secolo successivo. Il patriottismo otto-novecentesco si basò sulla convinzione
che l’appartenenza a una stessa patria fosse testimoniata dalla condivisione di
attributi etnici, linguistici, spirituali, religiosi, e che l’affermazione di
questo ideale di patria (la nascita della nazione), a opera dei diversi popoli,
equivalesse al compimento di una missione (etica, morale o ispirata da Dio).
Questi stessi valori sono divenuti, nella più recente Età contemporanea,
elementi chiave dell’azione normativa e disciplinante dello stato nazionale (e
dei regimi totalitari, in specie), al fine di trasformare il patriottismo in
uno strumento funzionale a superare le superstiti difformità culturali e
linguistiche (anzitutto), e a incoraggiare la piena e durevole identificazione
di ogni cittadino nella sua nazione. La crisi dello Stato-nazione, tematica
particolarmente caratteristica degli ultimi decenni, può essere collegata anche
al fiorire di nuove visioni patriottiche, soprattutto in Europa, che hanno
tentato di recuperare un più antico (e più ristretto) concetto di patria (luogo
di origine dei propri antenati, stato pre-unitario) o di superare altrimenti
(con un’accezione più larga) la dimensione nazionale: promuovendo una più forte
idea della patria europea o una più sentita adesione ai valori e ai principi
costituzionali dei singoli Stati.
Bene,
fin qui la (dilettantesca) ricerca storico-lessicale. Veniamo alle domande che
il patriottismo può porre a noi, oggi: vedete in altri o sentite in cuor vostro
la volontà di profondere impegno, su
molteplici piani (politico, militare, intellettuale, ecc.) in nome della
patria, per l’affermazione, la difesa o l’accrescimento dei valori che essa
esprime?
Rispondo
per me: non sento in cuor mio alcuna volontà di profondere impegno in nome della patria, per l’affermazione,
la difesa o l’accrescimento dei valori che essa esprime. Anzitutto perché
non vedo, essa patria, esprimere credibilmente
alcun valore degno di essere perseguito; e poi, perché quelli che esprime, hic et nunc, non mi sembrano né degni di
essere difesi né tampoco di essere accresciuti.
Si
dirà: ma, al netto di codesto tuo
(detestabile) atteggiamento (vacuamente) elitario, avrai pure qualcosa da
sperare, qualcosa per cui varrebbe, secondo te, la pena di profondere impegno per il tuo paese, il posto dove vivono i tuoi
figli, nipoti, amici e parenti?
Certo
che ce l’ho! E, qui, l’ho detto più volte: la verità (su quello che è il paese,
oggi) e il perdono reciproco (per quello che ciascuno ha fatto per ridurlo in
questo stato) mi sembrano le “cose” da volere (e da volere più urgentemente
possibile) per amore dell’Italia. Ma
le vedo così neglette, impopolari, lontane dalla coscienza e dai desideri di
tutti, addirittura conculcate, così improbabili da proporre che mi pare
impossibile poterle (realisticamente) sperare. Questo, secondo me, sarebbe il
vero patriottismo da coltivare, l’impegno
da profondere, ogni giorno, con caparbietà; non certo quello di ripeterci
volontaristiche menzogne, immaginando di essere lo scrigno del mondo, dove sono
sepolti – sotto fitta cenere – i tesori della nostra italianità.
Roma
17 giugno 2017
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