“Le
porte nere”
(di
Felice Celato)
In
questi giorni in cui la nostra vana agitazione si sofferma (meritoriamente) a
celebrare “la giornata del rifugiato”,
vale la pena di segnalare un bellissimo (e breve) romanzo sull’argomento, che,
guarda caso, ho letto proprio stanotte a causa di un…risveglio molto mattutino.
[Mi
si consenta un momento di auto-esaltazione: anche a causa dell’età, io mi
sveglio presto e – quando posso – mi alzo tardi; il costume nazionale, da
qualche tempo, è diventato di alzarsi magari presto, alcuni prestissimo, ma di
svegliarsi tardi, talora molto tardi, spesso poco prima di andare di nuovo a
letto! I sonnambuli, appunto; come dicevamo qualche tempo fa e come ci appare
chiaro appena apriamo il giornale].
Dunque,
bando alle celie (quand’anche amare): Exit
west (Einaudi, 2017) è il romanzo breve di Mohsin Hamid, già autore, qualche
anno fa di un altro bellissimo romanzo (Il
fondamentalista riluttante, Einaudi, 2007) dedicato ai professional americani di origine islamica che ritornano nei paesi
d’origine. Qui, invece, siamo ancora nel mondo dell’esodo, della fuga dalla guerra,
verso un Occidente preoccupato e in fermento nativista; il tempo è fuori del
tempo, i luoghi quasi un’allusione (Myconos, Londra, San Francisco), le vie e
le modalità della fuga (“le porte nere”)
simboliche (solo il prezzo appare concreto), le pene del tragitto totalmente
sottaciute, le lunghe soste nel percorso verso Ovest anch’esse senza tempo; in
un certo senso il racconto sembra una profezia sul prossimo futuro del mondo o
forse già una finestra sul presente. Resta solo lo sradicamento, il confine fatto
esistenza e vissuto al di là dei confini, lo spaesamento fronteggiato da un’indomabile
forza di adattamento, una drammatica resilienza umana destinata a sopravvivere,
magari fuori del tempo ma per virtù propria.
Sintesi:
una lettura eccellente.
Roma
23 giugno 2017
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