Il cerchio ambiguo
(di Felice Celato)
Concludiamo
questo primo quarto (inutile, inutile per l’Italia, intendo) dell’anno 2017 con
una segnalazione lieve. Lieve per genere, perché in fondo si tratta di un
romanzo; ma non lieve per il messaggio che contiene, come vedremo subito.
Si
tratta de Il cerchio, di Dave Eggers
(Oscar Mondadori, 2016), un romanzo, lo dico subito, troppo lungo (400 pagine
le leggo molto volentieri solo se le scrivono Manzoni, i Singer o J. Roth o
Tomasi da Lampedusa o simili) e per di più stroppiato da un’edizione dai
caratteri troppo minuti; ma un romanzo non banale, direi Orwelliano nel
significato. E, quindi, per certi aspetti profetico o, almeno, ammonitore.
La
storia è semplice ( e per questo la lunga narrazione risulta spesso
ripetitiva): una giovane neo laureata americana, con modeste prospettive
professionali nella sua provincia, entra (si direbbe: per una italianissima
raccomandazione) nella più grande azienda di gestione delle informazioni web che si chiama Il Cerchio. Subito
affascinata dalla super-innovativa gestione delle risorse umane, attenta,
premurosa e stimolante, la giovane Mae (così si chiama la protagonista) viene
progressivamente “macinata” nelle ossessioni aziendali per la comunicazione
interpersonale, ovviamente via rete (la
privacy è un furto; condividere è prendersi cura; e condividere, è un
dovere; tenere per sé un pensiero o un’esperienza, un peccato difficile da
perdonare, i segreti sono bugie),
fino a diventare, attraverso vicende anche paradossali, essa stessa un’icona
dell’azienda e della sua filosofia. E la filosofia de Il Cerchio – Mae se ne
accorge e lo sperimenta appieno – mira a chiudere il mondo, appunto, in un cerchio totalizzante del quale la trasparenza assoluta è il fondamento,
anzi l’unico fondamento; fino a diventare, la trasparenza, la misura di tutto, anzi la chiave di un vivere umano
continuamente monitorato, e anche il metro esclusivo della politica; di una
politica misurata anch’essa quotidianamente, anzi istantaneamente, dal grado di
consenso in rete che produce e che Il Cerchio ambisce a gestire e misurare costantemente ed ossessivamente. Se
non temessi le ire dei critici sapienti, direi che questo affastellamento
avverbiale vorrebbe quasi descrivere qualche sapore Kafkiano della situazione
narrata.
Non
dirò ovviamente nulla sull’ambiguo epilogo del romanzo. Certo mi hanno impressionato
gli echi contemporanei che questo giovane narratore americano coglie con
intelligenza e sgomento. E, inevitabilmente, il pensiero mi è corso alle
ossessioni che crescono in mezzo a noi, ai pericoli che nascondono, al liquido
totalitarismo che implicano e che minacciano: al loro implicito anti-umanesimo,
alla democrazia illiberale di cui parlavamo qualche giorno fa; e mi è tornata
in mente una frase nientemeno che di Benito Mussolini, una frase che non
conoscevo e che ho trovato in esergo ad uno dei capitoli di un libro che ho comprato
da qualche giorno (e del quale, non temete, tornerò a parlarvi appena l’avrò
letto), La via della schiavitù di
Friederich von Hayek. Dunque diceva il nostro Duce: quanto più complicate sono le forme assunte dalla civiltà, tanto più
deve restringersi la libertà dell’individuo. Se non fosse stato il futile
proclama di un dittatore, per nostra
fortuna ormai consegnato alla storia dolorosa di questo paese, suonerebbe come
un monito terrificante per i nostri tempi che la civiltà e la tecnica hanno
reso assai più complicati ed ambigui di quelli in cui Mussolini ha tragicamente
operato.
Roma
30 marzo 2017
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