giovedì 30 marzo 2017

Letture

Il cerchio ambiguo
(di Felice Celato)
Concludiamo questo primo quarto (inutile, inutile per l’Italia, intendo) dell’anno 2017 con una segnalazione lieve. Lieve per genere, perché in fondo si tratta di un romanzo; ma non lieve per il messaggio che contiene, come vedremo subito.
Si tratta de Il cerchio, di Dave Eggers (Oscar Mondadori, 2016), un romanzo, lo dico subito, troppo lungo (400 pagine le leggo molto volentieri solo se le scrivono Manzoni, i Singer o J. Roth o Tomasi da Lampedusa o simili) e per di più stroppiato da un’edizione dai caratteri troppo minuti; ma un romanzo non banale, direi Orwelliano nel significato. E, quindi, per certi aspetti profetico o, almeno, ammonitore.
La storia è semplice ( e per questo la lunga narrazione risulta spesso ripetitiva): una giovane neo laureata americana, con modeste prospettive professionali nella sua provincia, entra (si direbbe: per una italianissima raccomandazione) nella più grande azienda di gestione delle informazioni web che si chiama Il Cerchio. Subito affascinata dalla super-innovativa gestione delle risorse umane, attenta, premurosa e stimolante, la giovane Mae (così si chiama la protagonista) viene progressivamente “macinata” nelle ossessioni aziendali per la comunicazione interpersonale, ovviamente via rete (la privacy è un furto; condividere è prendersi cura; e condividere, è un dovere; tenere per sé un pensiero o un’esperienza, un peccato difficile da perdonare, i segreti sono bugie), fino a diventare, attraverso vicende anche paradossali, essa stessa un’icona dell’azienda e della sua filosofia. E la filosofia de Il Cerchio – Mae se ne accorge e lo sperimenta appieno – mira a chiudere il mondo, appunto, in un cerchio totalizzante del quale la trasparenza assoluta è il fondamento, anzi l’unico fondamento; fino a diventare, la trasparenza, la misura di tutto, anzi la chiave di un vivere umano continuamente monitorato, e anche il metro esclusivo della politica; di una politica misurata anch’essa quotidianamente, anzi istantaneamente, dal grado di consenso in rete che produce e che Il Cerchio ambisce a gestire e  misurare costantemente ed ossessivamente. Se non temessi le ire dei critici sapienti, direi che questo affastellamento avverbiale vorrebbe quasi descrivere qualche sapore Kafkiano della situazione narrata.
Non dirò ovviamente nulla sull’ambiguo epilogo del romanzo. Certo mi hanno impressionato gli echi contemporanei che questo giovane narratore americano coglie con intelligenza e sgomento. E, inevitabilmente, il pensiero mi è corso alle ossessioni che crescono in mezzo a noi, ai pericoli che nascondono, al liquido totalitarismo che implicano e che minacciano: al loro implicito anti-umanesimo, alla democrazia illiberale di cui parlavamo qualche giorno fa; e mi è tornata in mente una frase nientemeno che di Benito Mussolini, una frase che non conoscevo e che ho trovato in esergo ad uno dei capitoli di un libro che ho comprato da qualche giorno (e del quale, non temete, tornerò a parlarvi appena l’avrò letto), La via della schiavitù di Friederich von Hayek. Dunque diceva il nostro Duce: quanto più complicate sono le forme assunte dalla civiltà, tanto più deve restringersi la libertà dell’individuo. Se non fosse stato il futile proclama di un dittatore,  per nostra fortuna ormai consegnato alla storia dolorosa di questo paese, suonerebbe come un monito terrificante per i nostri tempi che la civiltà e la tecnica hanno reso assai più complicati ed ambigui di quelli in cui Mussolini ha tragicamente operato.
Roma 30 marzo 2017


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