W l’Europa
(di Felice Celato)
So
bene che non è il genere in cui riesco meglio, ma oggi voglio provare un
esercizio di ottimismo della volontà; o, meglio, vorrei, per una volta, essere
un ottimista con scrupoli, per usare
la felice espressione del filosofo inglese Roger Scruton (cfr. Del buon uso del pessimismo, segnalato
qui nel post Letture del 21. 3. 2012),
cioè uno di coloro che sanno che vivono
in un mondo di limiti, che modificarli è difficile e che le conseguenze sono
spesso imprevedibili; e, purtuttavia, si
assumono dei rischi come parte del desiderio di migliorare le cose, mettendo
sempre in conto il costo dell’insuccesso e dando peso alla peggiore delle
ipotesi.
Papa
Francesco (alle cui citazioni – lo riconosco con rammarico – non attingo con la
costanza che si addice ad un papista
quale io sono sempre stato), quando ancora non era papa scriveva che l’unità è superiore al conflitto (J.M.
Bergoglio: Noi come cittadini noi come
popolo, Jaca book, 2013); e non c’è dubbio che l’accordo di ieri fra i capi
politici Europei – non ostanti alcuni suoi limiti (cfr Paolo Valentino, sul Corriere della sera di oggi) – sia
meglio di un non accordo. Del resto, come ricordava benissimo De Rita sempre
sul Corriere della sera di oggi,
anche le volontà fondatrici non espressero, all’inizio, se non una cultura di primato dello scopo,
lasciandone le concrete implementazioni all’azione
politica successiva.
Certo,
oggi, le incognite sul futuro sono assai pesanti perché si è diffuso, un po’
dappertutto, un populist Zeitgeist,
(l’espressione è di Cas Muddle, in un saggio del 2004 che recentemente il NYT ha rimesso in circolazione), uno
spirito dei tempi populista che, fra nuovi miti fasulli e demitizzazioni della
politica, ha messo in onda una sfida insidiosa, in realtà non
anti-democratica ma illiberalmente
democratica. Questa sfida affonda, ovviamente, le sue radici in alcuni
innegabili fallimenti delle élites (per
i populisti le vere antagoniste del “popolo puro”), di cui, in fondo, certi
malesseri dell’Europa sono il non negato esempio. Ma, come scrive oggi, su Handelsblatt,
Aart De Geus (ministro Olandese degli affari sociali e vice-segretario generale
dell’OCSE, cfr link in nota) ci sono
anche sintomi, in larghe fasce di Europei, di una diffusa resilienza dell’idea
dell’Europa che, in fondo, lascia pensare a radici più forti dell’agitarsi
delle fronde. E non c’è ragione per trascurarne la robustezza, nonostante
tutto. Del resto, ai non negati insuccessi di cui sopra si affiancano
innegabili e non meno importanti successi (per esempio, e scusate se è poco, in termini di pace, di libertà e di
prosperità, mai così ampiamente ed ininterrottamente sperimentate nel vecchio e
litigioso continente).
Da
noi, certo, c’è un sobbollire di ambigui anti-europeismi, dissennatamente
confortati da ambigui europeismi di politici
mainstream focalizzati solo sul trasferimento a Bruxelles dei loro
fallimenti: è il caso, tanto per fare un esempio, delle panzane che diffondiamo
tanto spesso in Italia sui nostri rapporti con l’Europa (si veda in proposito l’esemplare
articolo di Veronica De Romanis su Il
Foglio di ieri a proposito de Le
ragioni di Jeroen Dijsselbloem; o l’analisi delle nostre inadempienze in
materia di utilizzo della famosa flessibilità, svolta Claudio Virno su lavoce.info di ieri; di entrambi metto
in nota il link).
E
c’è anche, da noi, qualche mal riuscito messaggio (si veda Zingales, su Il Sole 24 ore di oggi, Salviamo la Ue dagli “europeisti”) del
tipo: “provare a disegnare insieme una
nuova costituzione (europea), scelta
dal popolo e non da tecnocrati illuminati”, dove il popolo, per dirla con
Muddle (vedi sopra), è, forse, la mitica terra
madre dove risiede un popolo virtuoso ed unito.
Ma
al netto di tutto ciò, l’opzione
pro-Europa – se si deve dar retta, oltre che a De Geus, ad un’analisi
recentissima di Eurispes (Rapporto Italia
2017) – è tuttora largamente prevalente in tutte le fasce di età della
popolazione Italiana (e persino, sia pure marginalmente, nella fascia che si
riconosce nel Movimento 5 Stelle).
E dunque,
mettendo sempre in conto il costo
dell’insuccesso e dando peso alla peggiore delle ipotesi (come consiglia
Scruton), visto che è primavera, non resta che sperare; e, nel frattempo, come
dicevamo nell’ultimo post,
Orlandianamente (nel senso di Vittorio Emanuele Orlando, beninteso!) resistere! resistere! resistere! Aspettando il nuovo ardore che forse, chissà, non
sarà quello scritto nella Dichiarazione di Roma firmata ieri dai leaders Europei ma che, in fondo,
potrebbe essere scritto nelle teste degli Europei anche se le loro chiome
ondeggiano al vento del populist
Zeitgeist. Vedremo nelle prossime decisive settimane.
Roma
26 marzo 2017 (IV di Quaresima, non per caso detta Laetare)
Links:
http://www.ilfoglio.it/politica/2017/03/24/news/jeroen-dijsselbloem-paesi-del-sud-matteo-renzi--126877/
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