domenica 26 marzo 2017

La Dichiarazione di Roma



W l’Europa
(di Felice Celato)
So bene che non è il genere in cui riesco meglio, ma oggi voglio provare un esercizio di ottimismo della volontà; o, meglio, vorrei, per una volta, essere un ottimista con scrupoli, per usare la felice espressione del filosofo inglese Roger Scruton (cfr. Del buon uso del pessimismo, segnalato qui nel post Letture del 21. 3. 2012), cioè uno di coloro che sanno che vivono in un mondo di limiti, che modificarli è difficile e che le conseguenze sono spesso imprevedibili; e, purtuttavia, si assumono dei rischi come parte del desiderio di migliorare le cose, mettendo sempre in conto il costo dell’insuccesso e dando peso alla peggiore delle ipotesi.
Papa Francesco (alle cui citazioni – lo riconosco con rammarico – non attingo con la costanza che si addice ad un papista quale io sono sempre stato), quando ancora non era papa scriveva che l’unità è superiore al conflitto (J.M. Bergoglio: Noi come cittadini noi come popolo, Jaca book, 2013); e non c’è dubbio che l’accordo di ieri fra i capi politici Europei – non ostanti alcuni suoi limiti (cfr Paolo Valentino, sul Corriere della sera di oggi) – sia meglio di un non accordo. Del resto, come ricordava benissimo De Rita sempre sul Corriere della sera di oggi, anche le volontà fondatrici non espressero, all’inizio, se non una cultura di primato dello scopo, lasciandone le concrete implementazioni all’azione politica successiva.
Certo, oggi, le incognite sul futuro sono assai pesanti perché si è diffuso, un po’ dappertutto, un populist Zeitgeist, (l’espressione è di Cas Muddle, in un saggio del 2004 che recentemente il NYT ha rimesso in circolazione), uno spirito dei tempi populista che, fra nuovi miti fasulli e demitizzazioni della politica, ha messo in  onda una sfida insidiosa, in realtà non anti-democratica ma illiberalmente democratica. Questa sfida affonda, ovviamente, le sue radici in alcuni innegabili fallimenti delle élites (per i populisti le vere antagoniste del “popolo puro”), di cui, in fondo, certi malesseri dell’Europa sono il non negato esempio. Ma, come scrive oggi, su  Handelsblatt, Aart De Geus (ministro Olandese degli affari sociali e vice-segretario generale dell’OCSE, cfr link in nota) ci sono anche sintomi, in larghe fasce di Europei, di una diffusa resilienza dell’idea dell’Europa che, in fondo, lascia pensare a radici più forti dell’agitarsi delle fronde. E non c’è ragione per trascurarne la robustezza, nonostante tutto. Del resto, ai non negati insuccessi di cui sopra si affiancano innegabili e non meno importanti successi (per esempio, e scusate se è poco, in termini di pace, di libertà e di prosperità, mai così ampiamente ed ininterrottamente sperimentate nel vecchio e litigioso continente).
Da noi, certo, c’è un sobbollire di ambigui anti-europeismi, dissennatamente confortati da ambigui europeismi di politici mainstream focalizzati solo sul trasferimento a Bruxelles dei loro fallimenti: è il caso, tanto per fare un esempio, delle panzane che diffondiamo tanto spesso in Italia sui nostri rapporti con l’Europa (si veda in proposito l’esemplare articolo di Veronica De Romanis su Il Foglio di ieri a proposito de Le ragioni di Jeroen Dijsselbloem; o l’analisi delle nostre inadempienze in materia di utilizzo della famosa flessibilità, svolta Claudio Virno su lavoce.info di ieri; di entrambi metto in nota il link).
E c’è anche, da noi, qualche mal riuscito messaggio (si veda Zingales, su Il Sole 24 ore di oggi, Salviamo la Ue dagli “europeisti”) del tipo: “provare a disegnare insieme una nuova costituzione (europea), scelta dal popolo e non da tecnocrati illuminati”, dove il popolo, per dirla con Muddle (vedi sopra), è, forse, la mitica terra madre dove risiede un popolo virtuoso ed unito.
Ma al netto di tutto ciò, l’opzione pro-Europa – se si deve dar retta, oltre che a De Geus, ad un’analisi recentissima di Eurispes (Rapporto Italia 2017) – è tuttora largamente prevalente in tutte le fasce di età della popolazione Italiana (e persino, sia pure marginalmente, nella fascia che si riconosce nel Movimento 5 Stelle).
E dunque, mettendo sempre in conto il costo dell’insuccesso e dando peso alla peggiore delle ipotesi (come consiglia Scruton), visto che è primavera, non resta che sperare; e, nel frattempo, come dicevamo nell’ultimo post, Orlandianamente (nel senso di Vittorio Emanuele Orlando, beninteso!) resistere! resistere! resistere! Aspettando il nuovo ardore che forse, chissà, non sarà quello scritto nella Dichiarazione di Roma firmata ieri dai leaders Europei ma che, in fondo, potrebbe essere scritto nelle teste degli Europei anche se le loro chiome ondeggiano al vento del populist Zeitgeist. Vedremo nelle prossime decisive settimane.
Roma 26 marzo 2017 (IV di Quaresima, non per caso detta Laetare)

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