L’Italia delle misure
(di
Felice Celato)
1
Confesso
che di solito, quando qualcuno, con aria di saperla lunga, mi fa osservare, per
sottrarsi alle angustie delle evidenze, che il PIL non misura la felicità, un
po’ mi innervosisco: si capisce perfettamente, rispondo di solito, anche il
metro misura la statura fisica e non quella umana o morale. Il fatto è che,
quando una misura ci lascia insoddisfatti (nel mio caso il peso), ce la
prendiamo sempre con lo strumento (nel mio caso la bilancia) che serve per, appunto, prenderla, quella
misura .
Ma
tant’è! Gli Italiani sono sempre a favore delle (più impalpabili) “misure” qualitative:
così possono restare convinti che abbiamo il paese più bello del mondo, il sole
più splendente del mondo, la gente più affascinante del mondo, il cibo più
buono del mondo; tant’è vero che, regolarmente, tutto il mondo ci invidia
queste cose che (sia detto per inciso) abbiamo fatto ben poco per meritare.
Allora,
quando, come ogni anno, esce un repertorio di valutazioni qualitative corro a
spulciarlo per vedere se queste qualità, misurate con criteri omogenei,
giustificano le presunte invidie di tutto il mondo.
Eccoci
dunque all’annuale rapporto del World Economic
Forum sulla competitività globale (The
global competitiveness report 2016-2017) che, però, per gli inguaribili
sognatori del bel paese, ha un difetto: non si limita a formulare articolati giudizi
di efficacia e di efficienza ma, dei suoi indici, fa poi una classifica, fra i
138 paesi che – quest’anno – costituiscono il suo campione.
Sinteticamente:
siamo al 44° posto (su 138) come indice qualitativo sintetico (per intenderci:
siamo dietro, oltre che a tutti i paesi coi quali siamo – spesso impropriamente
– abituati a confrontarci, anche a Malesia, Korea, Qatar, Estonia, Lituania, Azerbaijan,
etc); ma se scendiamo più sotto, agli indici settoriali dettagliati, scopriamo
che siamo 103esimi (sempre su 138) per qualità delle istituzioni (addirittura
terz’ultimi per peso delle regolamentazioni amministrative e per efficacia
della giustizia civile, 98esimi per incidenza sugli affari dei costi correlati
al crimine e alla violenza); siamo 98esimi per qualità dell’ambiente
macro-economico, 119esimi per efficienza del mercato del lavoro, 122esimi per
sviluppo dei mercati finanziari. Anche dove siamo piazzati meglio (salute e
istruzione, infrastrutture e articolazione del mondo degli affari) siamo ben al
disotto del peso “relativo” della nostra economia e sicuramente delle nostre
pretese, aspettative, speranze, illusioni.
Vabbè!
This is the country! Basta averlo
chiaro.
2
Cito
dal Corriere della sera di oggi (compleanno di Berlusconi e di
Bersani, una volta erano feste nazionali): intervista di Lorenzo Salvia al prof.
Nicola Rossi, ex senatore del PD, docente di Politica economica e (aggiungo
convinto) da sempre mente libera e pensante. Domanda: Anche secondo lei, quindi, il Governo ha alzato il piede dalla spending
review?
Risposta:
Credo che il problema sia ancora più
grande. Tagliare la spesa pubblica non vuol dire fare in modo che lo Stato
faccia un po’ meglio quello che ha sempre fatto. Ma decidere che alcune cose
non le faccia più!
Chissà
che non sia questa di ridurre lo stato
(cfr., qui, da ultimo Letture liberali/2
del 4 luglio u.s. e precedenti vari in materia) la strada anche per
diminuire il fardello delle nostre debolezze?
Roma 29 settembre 2016
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