La V/verità
(di
Felice Celato)
Un
amico col quale vale la pena (rectius:
col quale fa piacere) discutere mi ha “sfidato” sul tema della verità (forse
entrambe, quella con la v minuscola e quella con la V maiuscola) che, come
sanno i miei pochi lettori, è uno dei cardini sul quali ruotano la mia weltanschauung, i miei inutili auspici
politici e anche – malauguratamente –
il mio umore (nel senso che le sue manipolazioni mi irritano – e mi preoccupano
– profondamente). Sei sicuro – dice il mio amico – che codesta tua ossessiva
fede nella verità non sia essa stessa una forma di fondamentalismo?
In
fondo, già Pilato aveva posto il problema della verità in maniera radicale (Che cos’è la verità?) nel momento
culminante del suo colloquio con Gesù. E’ vero che Nietzsche (dal quale il mio
amico, per suo merito, è culturalmente lontano mille miglia) aveva considerato
la questione come una manifestazione del nobile
disprezzo di un romano davanti a cui è stato fatto un uso sfacciato della
parola “verità”; ma altri – ed io sono, piccolissimo, fra questi – la
ritengono invece una domanda molto seria (e tuttora attualissima), ancorché
forse venata da romanissimo scetticismo
(J. Ratzinger), o magari addirittura ”genealogica” nel senso, se capisco bene, che contrappone – appunto per genere – la curiosità della conoscenza e il valore del dubbio alla
proclamazione della fede (A. Schiavone, Ponzio
Pilato, già citato qui).
Allora,
come uomini moderni, cosa rispondiamo
alla domanda di Pilato? Certo (magari dando soddisfazione al mio amico) possiamo
comportarci come Pilato stesso che ha
accantonato questa domanda come irrisolvibile e, per il suo compito,
impraticabile. Del resto anche oggi,
nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto,
per lo più si prova fastidio per essa (J. Ratzinger, in Gesù di Nazareth, Seconda Parte, LEV,
2011, pgg 214 e sgg) (*).
Eppure senza verità l’uomo non coglie il senso
della vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti (sempre Ratzinger,
ibidem). Qui, mi pare, ancora non è
necessario distinguere fra verità con la v minuscola e verità con la V
maiuscola; la verità come difesa dalle manipolazioni e dalle prevaricazioni dei
“forti” è, in fondo, quello che –
nella mia visione delle cose – può preservare la nostra libertà, la “sanità”
delle nostre opinioni e delle nostre valutazioni ma anche "giustificare" le
(innegabili) diversità dei nostri credi religiosi.
Si
potrà dire che non è sempre facile discernere la verità (siamo ancora in zona v
minuscola) nella congerie delle informazioni di cui veniamo bombardati; e
questo può essere vero. Anzi, può essere faticoso, appunto, discernere; ma per
non lasciare il campo ai più forti,
l’esercizio vale sicuramente la pena, anzi forse è un dovere (**).
Però,
per noi “paolotti”, la questione della verità non si esaurisce con una v
minuscola (e con le piccole battaglie che vale la pena di fare per essa):
starei per dire anzi che qui, in zona V maiuscola, una volta che si sia nel
recinto dei “paolotti”, l’esercizio è più facile (checché ne pensi il mio amico
suggestionato da tanti correnti relativismi). Ed è più facile perché ci è stato
detto chiaramente Chi è la via, la verità e la vita.
Anche
a Pilato, del resto, viene detto: colui che ha davanti è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità (Gv.18,37); il
che significa (Ratzinger, ibidem) mettere in risalto
Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze….cioè….partendo da Dio, dalla Ragione creatrice,
rendere la creazione decifrabile e la sua verità accessibile in modo tale che
essa possa costituire la misura e il criterio orientativo nel mondo dell’uomo –
che ai grandi e ai potenti si faccia incontro il potere della verità, il
diritto comune, il diritto della verità [sottolineatura mia].
Non
ho, ovviamente, altro da dire: rimango affezionato all’idea che la verità sia
possibile e doverosa. E che la Verità sia bella, anzi straordinariamente affascinante
(e per questo forse difficile da esporre nei mutevoli linguaggi); e che – pur
riposando essa sulla fede – è pur sempre la Verità, dalla quale discendono (e
scusate se è poco!) nientemeno che la nostra speranza e ogni carità.
Roma,
26 settembre 2016
(*)
Su questo, il testo di Ratzinger impone una citazione più ampia: È la domanda che
pone anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la verità
come categoria per la sua struttura? O deve lasciare la verità, come
dimensione inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a
stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell'ambito del
potere? Vista l'impossibilità di un consenso sulla verità, la politica puntando
su di essa non si rende forse strumento di certe tradizioni che, in realtà,
non sono che forme di conservazione del potere? Ma, dall'altra parte, che cosa succede se la verità non conta nulla?
Quale giustizia allora sarà possibile? Non devono forse esserci criteri comuni
che garantiscano veramente la giustizia per tutti – criteri sottratti
all'arbitrarietà delle opinioni mutevoli ed alle concentrazioni del potere?
Non è forse vero che le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna
ideologica e che soltanto la verità poté portare la liberazione?
(**)Così, per fare un esempio, se ci si vuole far
intendere – come è accaduto in questi giorni – che “l’Europa non vuole” che si mettano in sicurezza le scuole dove
vanno i nostri figli (o i nostri nipoti) abbiamo il dovere di pretendere che
venga detta la verità (che è – fin troppo evidentemente – tutt’affatto diversa)
e di riguardare come altamente pericoloso chi propalasse una tale sciocchezza.
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