Status
quo
(di
Felice Celato)
Approfittando
di una giornata piovosa e di un violento attacco di insonnia, ho “divorato” il
libro di Roberto Perotti Status quo-
Perché in Italia è così difficile cambiare le cose (Feltrinelli, 2016).
Dico
subito che a mio parere libri come questo (e come quello di Cottarelli, Il macigno, di cui abbiamo già parlato
nel maggio scorso) hanno in sé – starei per dire: a prescindere dalle tesi che
vi si sostengono – un grande pregio preliminare. Rendono comprensibili, anche a
chi non fosse uno specialista, i temi centrali del nostro disagio politico e,
forse contro ogni interessato auspicio dei politici, dissipano le fumisterie
che circondano i temi economico-finanziari svelando che la percezione della
realtà potrebbe essere resa accessibile ai cittadini, solo che si volesse (o solo
che, chi dovrebbe volerla, l’abbia egli stesso conseguita!).
Non
è un merito da poco, nell’età della post-verità!
Anche
qui, come nel caso del libro di Cottarelli, il metodo usato non è quello –
deleterio – della banalizzazione, bensì quello della semplificazione dei temi, che è spesso possibile solo a chi
veramente li conosce. Peraltro il testo sarebbe dotato di un ampio apparato di
note e tabelle, magari destinate alla curiosità dei più confidenti con le
materie, disponibile su un apposito sito (www.feltrinellieditore/statusquo)
che, però, purtroppo, non sono riuscito ad aprire.
La
rassegna dei temi trattati (debito pubblico, austerità, privilegi della classe
dirigente, pubbliche amministrazioni, trasporto pubblico locale, Rai, etc) sarebbe
solo noiosa e ometto di farla per intero; dirò solo che il senso dell’ampia
casistica esaminata è che i falliti tentativi di por mano a qualcuno dei
problemi che ci affliggono (ricordiamo che Perotti, come Cottarelli, si è
inutilmente occupato di spending review
per conto del Governo) non sta solo nella loro oggettiva difficoltà politica
(tagliare la spesa pubblica e sempre doloroso, soprattutto in ambiente statolatrico) ma anche nei limiti
strutturali della nostra cultura politica, fatta di viste corte, di incompetenze,
di provincialismi e di iper-legalismo ormai sconnesso dall’essenza dei problemi
e ripiegato su se stesso, prigioniero di un flipper
regolamentare che rimbalza i problemi di norma in norma, sempre più lontano
dalla soluzione.
Il
libro si chiude con un capitolo direi di metodo: come uscirne? Sarà l’insonnia
che mi disturba l’umore ma non prevedo successo a questa parte del lavoro di
Perotti: vi basti pensare che il suo motto ricorrente è ‘chinare la testa e
lavorare’, l’antitesi dell’assai più popolare ‘alzare la testa – e la voce – e chiacchierare’!
Roma
17 settembre 2016
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