Un insolito tragitto
(di
Felice Celato)
Confesso
che non ero più abituato a intense giornate di lavoro (12 ore ciascuna, per di
più in inglese) come quelle che ho vissuto in questa prima parte della
settimana; perciò che stamane mi sia svegliato stanco non mi sorprende più di
tanto. Né mi sorprende – l’ho accennato altre volte – il…torcimento di budella
che ogni giorno, e quindi anche stamane, mi suscitano le rassegne stampa
mattutine: oggi la colazione era a base di Olimpiadi, fertility day e referendum,
tutti temi sui quali le argomentazioni dei nostri politici ciarlieri sono
capaci di mettere a repentaglio le mie convinzioni più radicate, per indurmi a
pensare che sia meglio fare il contrario di quello che dicono, anche quando –
al riparo dalle loro argomentazioni – sarebbe bene, per pura causalità, fare come dicono.
Insomma,
mi sono svegliato proprio male.
Per
auto-consolarmi mi sono regalato una lunga passeggiata attraverso Villa
Borghese per andare in ufficio; non avrei mai supposto che, alla venerabile età
di quasi 68 anni, mi venisse voglia di passare dallo zoo (l’ultima volta che ci
ero entrato è coi miei figli ancora piccoli, dunque quasi una quarantina di
anni fa). E siccome alla mia età qualcosa bisogna pur concedersi, sono entrato, senza palloncino però (anche perché ora è vietato), pagando – 13 euro – il biglietto da
anziano; la cassiera si è incuriosita del fatto che il primo cliente della
mattina entrasse in giacca e con la
borsa da lavoro; le ho spiegato che volevo vedere gli animali dal vero dopo
averne sentiti tanti vociare alla radio, e ha riso soddisfatta).
Bene.
Dopo tanti e nobili precedenti letterari, non mi cimenterò in esercizi di
zoomorfismo della politica italiana….però – non so perché – alcuni animali mi
sono rimasti impressi: anzitutto una specie di grosso tacchino, libero di
circolare nei viali con un’aria un po’ pomposa, e dallo sguardo inconfondibilmente
gallinaceo ma dal portamento fiero ed arrogante e dal goglottìo (così si chiama
il verso del tacchino) altisonante e ininterrotto; due grossi pappagalli che...facevano opposizione da un ramo della voliera, farfugliando ad altissima voce nel loro linguaggio
comprensibile (forse) solo a loro stessi; dei lemuri freneticamente operosi per non fare nulla,
del resto come le scimmiette; dei licaoni un po’ fetenti (ho letto che è una
loro caratteristica!) dallo sguardo inutilmente fiero (in fondo stanno allo zoo
come le più miti gazzelle!); una foca sfiatata che si agitava come se ci
fossero mille telecamere a riprenderla; un grosso kulan, un asino asiatico, biondo ed elegante, direi conscio della
propria fotogenicità.
Il
mio percorso si faceva sempre più ricco di immagini e di (inevitabili)
sovrapposizioni analogiche; stavo per entrare nel rettilario quando una
telefonata mi ha ricondotto alla realtà, mentre stavo difronte ad un guanaco,
una specie di lama, che ruminava pigramente guardandomi incuriosito: così ho
dovuto aprire il tablet per spostare
un appuntamento, col telefono fra spalla e guancia. Non ci crederete: mi è sembrato
che il guanaco mi sorridesse. E accompagnato dal suo sguardo ironico, ho
ripreso la strada dell’ufficio.
Roma
22 settembre 2016
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