lunedì 12 settembre 2016

Spigolature / 9

Post-truth politics

(di Felice Celato)

Non è certo nuovo, “su queste colonne”, il grido di dolore per l’eclissi della verità nella nostra società, nella nostra politica e nella nostra comunicazione (verità con la “v” minuscola, ovviamente, ma anche quella con la “V” maiuscola non brilla per attenzioni e  rispetto); avrei persino difficoltà a richiamare tutti i post nei quali ce ne siamo lamentati. Finalmente, però, il tema comincia ad emergere qua e là, in tutta la sua devastante pervasività: ne ha parlato diffusamente The Economist appena uscito (titolo di copertina: Art of the lie. Post-truth politics in the age of social media) e anche il Corriere della sera, focalizzato sulla campagna di Trump (la più volgare nell’era della post-verità).
Dunque è post verità (post-truth) il termine (fulminante, bisogna riconoscerlo) col quale, pare dal 2010 e ad opera di un blogger di nome David Roberts, si addita  una cultura politica nella quale (assai difficile la traduzione in italiano della definizione di Roberts, per via del particolare senso che hanno in inglese le parole policy e politics) le politics (public opinion and media narratives) si sono quasi completamente disconnesse dalla policy (the substance of legislation). Alessandro Ovi, su LinKiesta di qualche anno fa, aveva spiegato molto efficacemente la differenza fra i due termini (politics e policy) che in Italiano diventano genericamente “la politica”: policy è la ricerca di una via razionale per risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia; politics è la ricerca di consensi popolari e la loro aggregazione verso soluzioni che siano accettate anche se non necessariamente ottimali.
Nihil sub sole novi, per carità!, almeno per quel che riguarda l’esercizio del potere.  Non so se sia autentica la citazione di Machiavelli secondo la quale governare è far credere; ma certamente nel capitolo XVIII de Il Principe, dopo aver raccomandato, appunto al principe, il modello della volpe e quello del leone (bisogna adunque essere volpe a conoscere e’lacci e lione a sbigottire e’ lupi) Machiavelli precisa che quello che ha saputo meglio usare la volpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore perché colui che inganna troverà sempre chi si lascia ingannare….e ogniuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscono opporsi alla oppinione di molti, che abbino la maestà dello stato che gli difenda..…Perché el vulgo ne va preso con quello che pare…e nel mondo non è se non vulgo e pochi non ci hanno luogo quando gli assai hanno dove appoggiarsi.
Il fatto è che la menzogna o, più modernamente, lo sviamento della percezione non è più (solo) una stampella del potere del principe; la mediatizzazione dell’agire politico come strumento fondamentale per la creazione e il mantenimento del consenso democratico (i politici d’oggi giorno, a differenza del principe di Machiavelli, sono soggetti ad una ricorrente verifica delle loro efficacia) ha fatto sì che, appunto oggi, occorra continuamente mantenere sotto pressione i meccanismi di formazione di tale consenso; occorra cioè creare, nei media e coi media, un ambiente costantemente convinto di una certa rappresentazione della realtà, sia positiva (di supporto al governo) che negativa (di opposizione al governo); e occorre che noi siamo “immersi” in questa rappresentazione fino al punto da percepirla come realtà, o meglio ancora come realtà gradita (in un senso o nell’altro); e  gradita perché semplice e facile da capire, secondo il  principio per il quale gli uomini preferiscono liberarsi delle cose che comportano una maggior fatica cerebrale (è noto il famoso esperimento raccontato dal premio Nobel Kahneman: di due notizie false pubblicate una vicina all’altra con caratteri di stampa diversi è stata creduta quella scritta con caratteri più chiaramente leggibili).
E’, dunque – questo tempo della post-verità – il tempo della virtualizzazione della realtà, semplificata per non affaticare, diffusa “viralmente” per auto-affermarsi e guidata dalla reiterazione per confluire in aggregazioni di consenso pigro e al tempo stesso saccente. In negativo: chi non si abbandona al flusso dell’opinione corrente e magari tenta di nuotare contro, è un rompiscatole, un maverick, un irritante scettico, un po’ presuntuoso e un po’ elitarista.
Roma 12 settembre 2016 (festa del Santissimo nome di Maria, auguri a tutte le Marie)









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