Fenomeni
(di Felice Celato)
Le
elezioni amministrative ci consegnano, a Roma e a Torino, risultati da
considerare seriamente, pur nella loro diversità (Roma esce da un prolungato scempio
amministrativo, Torino credo possa additarsi come uno dei grandi comuni
Italiani meglio amministrati). Quello che abbiamo, un po’ tutti, ritenuto un
fenomeno politico (il cd populismo) magari
destinato a svanire nel tempo, come è avvenuto nel passato per movimenti
analoghi, si è invece consolidato e, ci piaccia o no, occorre farci i conti, se
vogliamo continuare ad occuparci di ciò che ci gira attorno e, bene o male,
lascerà un segno; un segno, forse solo un segno nella storia delle modalità
della politica, ma a questo punto non
credo tanto irrilevante, anche perché contemporaneo ad analoghi fenomeni non
Italiani.
Cerchiamo
di capirci, come in fondo vogliamo fare con queste nostre chiacchiere in
libertà, da quando le abbiamo avviate.
Che
cosa intendo io per populismo (chiedo scusa della personalizzazione
estrema ma la confusione è tanta)? Secondo me [ chi vuole trovare un repertorio
ragionato della vasta letteratura internazionale sul tema, certamente non solo
Italiano né nuovo nella storia, può leggersi il libro di Franco Crispini Del populismo. Indicazioni di lettura (Reti
Ed.)] il cosiddetto populismo nasce con la stessa democrazia, della quale
costituisce, in fondo, un’esasperazione evidente. Esso muove, infatti, da una rappresentazione idealizzata del popolo,
esaltato come portatore di istanze e
valori positivi, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élites….
spesso secondo una tendenza a svalutare
forme e procedure della democrazia rappresentativa, previlegiando modalità di
tipo plebiscitario e la contrapposizione di nuovi leader carismatici a partiti
ed esponenti del ceto politico tradizionale (definizione tratta dalla voce populismo dall’Enciclopedia Treccani). E
dunque, da veri democratici, non ci sarebbe da troppo scandalizzarsi di quella
che potrebbe apparire, appunto, una mera esasperazione, sia pure demolatrica e moralistica, di principi
politici ai quali siamo pur sempre (io con scettica moderazione) affezionati. Se
non fosse che, il portato conseguente di ogni propaganda populista (è questo il
lato del fenomeno che più mi preoccupa, anzi forse l’unico) è proprio quello di
lasciare intendere, per fini di consenso popolare, che esistano soluzioni
semplici a problemi complessi. E, come scriveva Machiavelli (citato nel libro
sopra menzionato) la natura de’ popoli è
varia; ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile [poi] fermarli in quella persuasione. Invece,
l’enorme complessità del mondo contemporaneo, così aperto e interconnesso, così
libero nella circolazione di idee, merci, capitali, persone, così reattivo su
scala mondiale (pensate, solo per fare due esempi tra i tanti possibili, alle
reazioni che suscita, su scala appunto globale, un’oscillazione significativa
nel prezzo del greggio o anche l’ipotesi di uscita del Regno Unito dalla
compagine europea) rende la governance politica
un’arte ormai estremamente complicata, che richiede conoscenze e competenze del
tutto esogene rispetto alla percezione delle stesse che può ragionevolmente
albergare nella coscienza popolare
(da qui la mia estrema diffidenza per ogni manifestazione di democrazia
diretta), introducendo tecniche di valutazione e di azione che, spesso, sono
perfino difficili da semplificare. Conoscenze e competenze spesso, ahimè, anche sottovalutate dalle
sedicenti élites sulle quali si
appunta –da questo punto di vista a ragione – l’ostilità dei cosiddetti
populisti. [ Faccio anche qui un esempio: abbiamo parlato pochi giorni fa del
prezioso lavoro di Cottarelli sul Macigno
del debito pubblico (cfr. Letture del 26 maggio 2016); bene:
vorrei sapere quanti politici di mestiere conoscono con eguale chiarezza il
tema, che pure è il più rilevante per il nostro Paese e del quale parlano tanto
spesso con disarmante…ingenuità].
Ora,
qui giunti, per voler esser a tutti i costi ottimisti (come non mi viene
naturale), i casi sembrano essere due: o la propaganda populista, in realtà, è
ben cosciente di queste complessità e semplifica (o banalizza) al solo intento
di raccogliere consenso; e allora, sotto questo profilo, non sarebbe differente,
se non per efficacia propagandistica, dalle élites
politiche cui si contrappone. In questo caso, tuttavia, il fenomeno sarebbe da
riguardare anche positivamente, almeno come un mero strumento di rinnovamento
della classe politica (che veramente ne ha bisogno!) non diversamente da come
ha presentato se stesso il movimento interno al PD e che fa capo all’attuale
Primo Ministro, in fondo non meno populista dei populisti quanto a narrativa politica. O, invece, - e
questo è l’altro caso - proprio non si rende conto di quanto le cose siano
complicate; e allora sarebbe veramente pericolosa, proprio per quello che ben
diceva Machiavelli.
Dunque,
sotto questo profilo, l’ascesa del Movimento 5 Stelle al governo di realtà
complicate come quelle di Roma e, in misura minore, di Torino, fornirà una
interessante occasione di giudizio (sia pure maturata sulla pelle dei
cittadini).
Roma,
20 giugno 2016
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