lunedì 20 giugno 2016

Roma e Torino

Fenomeni
(di Felice Celato)
Le elezioni amministrative ci consegnano, a Roma e a Torino, risultati da considerare seriamente, pur nella loro diversità (Roma esce da un prolungato scempio amministrativo, Torino credo possa additarsi come uno dei grandi comuni Italiani meglio amministrati). Quello che abbiamo, un po’ tutti, ritenuto un fenomeno politico (il cd populismo) magari destinato a svanire nel tempo, come è avvenuto nel passato per movimenti analoghi, si è invece consolidato e, ci piaccia o no, occorre farci i conti, se vogliamo continuare ad occuparci di ciò che ci gira attorno e, bene o male, lascerà un segno; un segno, forse solo un segno nella storia delle modalità della politica, ma  a questo punto non credo tanto irrilevante, anche perché contemporaneo ad analoghi fenomeni non Italiani.
Cerchiamo di capirci, come in fondo vogliamo fare con queste nostre chiacchiere in libertà, da quando le abbiamo avviate.
Che cosa intendo io per populismo (chiedo scusa della personalizzazione estrema ma la confusione è tanta)? Secondo me [ chi vuole trovare un repertorio ragionato della vasta letteratura internazionale sul tema, certamente non solo Italiano né nuovo nella storia, può leggersi il libro di Franco Crispini Del populismo. Indicazioni di lettura (Reti Ed.)] il cosiddetto populismo nasce con la stessa democrazia, della quale costituisce, in fondo, un’esasperazione evidente. Esso muove, infatti, da una rappresentazione idealizzata del popolo, esaltato come portatore di istanze e valori positivi, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élites…. spesso secondo una tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa, previlegiando modalità di tipo plebiscitario e la contrapposizione di nuovi leader carismatici a partiti ed esponenti del ceto politico tradizionale (definizione tratta dalla voce populismo dall’Enciclopedia Treccani). E dunque, da veri democratici, non ci sarebbe da troppo scandalizzarsi di quella che potrebbe apparire, appunto, una mera esasperazione, sia pure demolatrica e moralistica, di principi politici ai quali siamo pur sempre (io con scettica moderazione) affezionati. Se non fosse che, il portato conseguente di ogni propaganda populista (è questo il lato del fenomeno che più mi preoccupa, anzi forse l’unico) è proprio quello di lasciare intendere, per fini di consenso popolare, che esistano soluzioni semplici a problemi complessi. E, come scriveva Machiavelli (citato nel libro sopra menzionato) la natura de’ popoli è varia; ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile [poi]  fermarli in quella persuasione. Invece, l’enorme complessità del mondo contemporaneo, così aperto e interconnesso, così libero nella circolazione di idee, merci, capitali, persone, così reattivo su scala mondiale (pensate, solo per fare due esempi tra i tanti possibili, alle reazioni che suscita, su scala appunto globale, un’oscillazione significativa nel prezzo del greggio o anche l’ipotesi di uscita del Regno Unito dalla compagine europea) rende la governance politica un’arte ormai estremamente complicata, che richiede conoscenze e competenze del tutto esogene rispetto alla percezione delle stesse che può ragionevolmente albergare nella coscienza popolare (da qui la mia estrema diffidenza per ogni manifestazione di democrazia diretta), introducendo tecniche di valutazione e di azione che, spesso, sono perfino difficili da semplificare. Conoscenze e competenze spesso, ahimè, anche sottovalutate dalle sedicenti élites sulle quali si appunta –da questo punto di vista a ragione – l’ostilità dei cosiddetti populisti. [ Faccio anche qui un esempio: abbiamo parlato pochi giorni fa del prezioso lavoro di Cottarelli sul Macigno del debito pubblico (cfr. Letture del 26 maggio 2016); bene: vorrei sapere quanti politici di mestiere conoscono con eguale chiarezza il tema, che pure è il più rilevante per il nostro Paese e del quale parlano tanto spesso con disarmante…ingenuità].
Ora, qui giunti, per voler esser a tutti i costi ottimisti (come non mi viene naturale), i casi sembrano essere due: o la propaganda populista, in realtà, è ben cosciente di queste complessità e semplifica (o banalizza) al solo intento di raccogliere consenso; e allora, sotto questo profilo, non sarebbe differente, se non per efficacia propagandistica, dalle élites politiche cui si contrappone. In questo caso, tuttavia, il fenomeno sarebbe da riguardare anche positivamente, almeno come un mero strumento di rinnovamento della classe politica (che veramente ne ha bisogno!) non diversamente da come ha presentato se stesso il movimento interno al PD e che fa capo all’attuale Primo Ministro, in fondo non meno populista dei populisti quanto a narrativa politica. O, invece, - e questo è l’altro caso - proprio non si rende conto di quanto le cose siano complicate; e allora sarebbe veramente pericolosa, proprio per quello che ben diceva Machiavelli.
Dunque, sotto questo profilo, l’ascesa del Movimento 5 Stelle al governo di realtà complicate come quelle di Roma e, in misura minore, di Torino, fornirà una interessante occasione di giudizio (sia pure maturata sulla pelle dei cittadini).
Roma, 20 giugno 2016




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