Il prezzo del tempo
(di
Felice Celato)
Qualche
giorno fa è comparsa su qualche giornale una notizia alla quale non è stato
dato – secondo me – il rilievo che merita al di là della sua natura tecnica: il rendimento del Bund decennale tedesco, è sceso per la prima volta sotto
zero. In altri termini: i risparmiatori che vorranno avere il previlegio di prestare i loro denari al
Governo tedesco a lungo termine (10 anni!), per questo previlegio dovranno pagare qualcosa, cioè accettare che alla
scadenza venga loro restituito dal Governo tedesco meno di quanto prestato. Il
fenomeno non è del tutto nuovo nel tempo e nel mondo, sia pure per scadenze più
brevi, ed ha le sue spiegazioni tecniche (che qui non interessano nessuno). E,
del resto, sul tema ci siamo già intrattenuti qui nell’ottobre scorso (Domande del 26 ottobre 2015); eppure,
confesso che la cosa continua a suscitarmi riflessioni angosciose. Pensate al
tempo; ma pensateci al futuro (in fondo quello passato l’abbiamo già consumato
e ci ha dato, nel bene o nel male, tutto ciò che poteva darci). Dunque pensate
al tempo presente e futuro, a questo bene prezioso in cui tutti siamo immersi
come lo siamo nell’aria e per il quale ci siamo inventati un prezzo
(l’interesse) che, con incerta bilancia, soppesa il domani con tutti i rischi e
le opportunità che questo comporta; al tempo che Qualcuno ha contato per noi in
una dimensione finita perché, al suo interno, lavorassimo per custodire il
mondo che ci è stato affidato (ut
operaretur, et custodiret illum); al tempo nel quale si semina per raccogliere,
se la stagione sarà stata favorevole; nel quale si costruiscono case, strade,
ponti, perché altri anche dopo di noi ne godano; al tempo che dedichiamo al
lavoro per riceverne compenso o allo studio per accrescere la nostra conoscenza
del mondo e il nostro capitale umano;
al tempo nel quale cresciamo i nostri figli ed i nostri nipoti, educandoli a
non sprecarlo, a farne tesoro per le infinite opportunità che reca; al tempo
che ancora non conosciamo ma dal quale ci attendiamo cose buone, per le quali
siamo disposti a sudare, a faticare, a rischiare anche qualcosa.
Bene: ora immaginate che questo tempo non abbia
per noi più nessun valore, come fosse aria – appunto – della quale non
percepiamo il valore perché non ci è mai mancata, come invece il tempo tante
volte ci è mancato o ci manca; come fosse una dimensione del nostro vivere
dalla quale non è lecito attendersi nulla di buono; come fosse il luogo non
della nostra mondana speranza ma della nostra disperazione. Ecco, per questo tempo disperato non siamo
più disposti a pretendere un prezzo; anzi, siamo disposti a pagarne uno – di
prezzo – a chi ce lo porta via dietro modico compenso, lasciandoci tutti i
rischi del suo decorso.
Queste sono le considerazioni che mi vengono
quando leggo notizie come quella da cui siamo partiti, della quale peraltro –
fatemene credito – conosco la natura tecnica. Solo che, andando al di là della
tecnica, come si conviene a chi è anziano e forse quella tecnica la conosce pure
bene, mi affanno a domandarmi se ci rendiamo pienamente conto dell’implicito
pensiero che quella tecnica postula; e quello mi angoscia, non questa.
Del resto viviamo in un periodo e in un mondo che
al tempo futuro guarda con giustificata angoscia; basta scorrere i giornali e
mettere il fila le pulsioni che sembrano pervadere il mondo, persino dove siamo
stati abituati a pensare abitasse la fiducia nel domani.
Quando ci rifletto, per fortuna, mi viene in
mente un passo del libro della Sapienza che in questi giorni mi è capitato di
rileggere, un passo che, saggiamente, aiuta a prendere le distanze dai nostri
stessi pensieri: I ragionamenti dei
mortali sono timidi ed incerte le nostre riflessioni, perché un corpo
corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti
pensieri (Sap. 9, 14-15). E, del tempo, mi viene in mente il vero Signore,
e, come al solito, lo sconforto si stempera al suo confine con la Speranza.
Roma, 18 giugno 2016
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