Il
macigno
(di
Felice Celato)
Eccomi
qua, come promesso (Spigolature / 3,
del 22 maggio u.s.), ritorno un po’ più estesamente sul libro di Carlo
Cottarelli Il macigno – Perché il debito
pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene ( Feltrinelli, 2016). Si
tratta di un libro, come dicevo, esemplare per chiarezza e lucidità, ragionante
e anche completo nella trattazione del tema, pur con le semplificazioni di una
trattazione destinata non proprio a specialisti ma a cittadini e politici che
vogliano veramente capire qualcosa di un
tema che – anche a parer mio – costituisce non un problema per l’Italia ma, in
un certo senso, il problema. Si legge quindi, per ampi tratti, benissimo
anche se non si è specialisti della materia (per questo ne consiglio vivamente
la lettura). Qualche difficoltà in più si sperimenta in un paio di capitoli
tecnicamente più complessi per la natura della materia trattata; ma l’autore si
fa scrupolo di esser sempre estremamente chiaro, pur senza ricorrere a banalizzazioni o
semplificazioni eccessive, anche quando tratta materie oggettivamente complicate,
come per esempio la spiegazione delle regole fiscali dell’Europa. [Fra queste
ho avuto modo di trovare – lo dico senza entrare nel dettaglio tecnico e per
mera onestà intellettuale – una correzione ad un mio errato convincimento
sull’interpretazione della norma che disciplina il ritmo di rientro dal debito
eccessivo che ci caratterizza. Pur essendo da tempo un attento osservatore di
questo tema avevo dato un’interpretazione più rigida del dovuto del percorso da
fare per portare il debito pubblico al livello europeo; poco male, però, perché
tanto da noi si discute di come fare debito – o, come altrimenti si dice, della flessibilità
– e non di come ridurlo e a che ritmo].
Il
merito fondamentale del libro, al di là di un’efficace sistematizzazione del
tema, è quello di affondare, uno dopo l’altro, tutti gli slogan che riempiono i discorsi dei politici (e anche i commenti di
molti giornalisti) e frollano le menti della Pubblica Opinione che viene spesso
spinta ad immaginare scorciatoie che non esistono o che, se anche esistessero
sul piano teorico, sarebbero più ardue della strada maestra (per esempio:
uscire dall’euro, ripudiare il debito, o
magari solo “europeizzarlo”, immaginare di
continuare una stentata crescita a debito nascondendosi l’esistenza di un macro-problema,
etc. etc. etc. ).
Mi
fa una certa rabbia constatare che in fondo le “ricette” che Cottarelli propone
non siano poi così difficili da capire e da far capire: non si tratta, come dicono
gli americani, di rocket science; si
tratta semplicemente di far esercizio del buon senso e dell’ equilibrio che
sono, in fondo, la “semplice” filosofia di queste ricette: una ragionevole
austerità fiscale (il pareggio di bilancio senza aumentare le tasse) praticabile soprattutto in un periodo per tanti aspetti così favorevole (tassi di interesse eccezionalmente bassi),
un oculato blend di dismissioni e
riforme focalizzate sull’economia, una
certa pazienza e costanza di indirizzo. Nulla di diverso da quello che si
potrebbe fare se solo ci dicessimo la verità e volessimo prenderne
concretamente atto.
Roma
26 maggio 2016
PS: Avendone
forse accennato altre volte su questo blog,
mi viene in mente una notazione meramente cronachistica. Dopo la lettura di
questo bel libro rimango convinto che una mia più radicale idea di qualche tempo fa non era sbagliata:
patrimoniale una tantum, massiccio
trasferimento di beni dello stato in un fondo da liquidare nel tempo e da
distribuire in compensazione a coloro che hanno pagato la patrimoniale, contemporanea
riduzione significativa delle imposte sui redditi (prima delle imprese e poi
dei privati) e riduzione del perimetro dello stato (e quindi delle sue spese). Ma non è questo il luogo (e forse non è più il tempo) per
sperimentarne ulteriormente l’impopolarità.
Nessun commento:
Posta un commento