Dare
i numeri
(di
Felice Celato)
Che
gli Italiani abbiano scarsa confidenza coi numeri, non occorre attendere i test Invalsi per constatarlo (fra
l’altro, questi riguardano i giovani, mentre il male è endemico, senza nessun
riguardo per le età). Anzi, di più: gli Italiani – amanti delle “bufale” – sono
talmente diffidenti verso ogni espressione numerica che se qualcuno dice che
due più due fa cinque, piuttosto che dargli semplicemente del somaro (non sarebbe
politically correct, perbacco!), preferiscono consacrarlo invece come
un eroe solitario che da anni “si batte con coraggio” contro la lobby dell’aritmetica.
Nando
Pagnoncelli ha pubblicato un breve saggio (Dare
i numeri, EDB, 2016) per quantificare, nei limiti del possibile, le
percezioni sbagliate della realtà sociale che sono radicate nelle opinioni
degli italiani e dei cittadini di 33 paesi del mondo, per costruire, alla fine,
un sintetico indice di ignoranza; indice che ci vede –manco a dirlo – primeggiare in
Europa e piazzarci “proprio bene” (in maniera lusinghiera, direbbe un
indomabile renziano) nella classifica mondiale. Per capire il senso della
ricerca, riporto qui un esempio: alla domanda “qual è la percentuale di
immigrati nel tuo paese?” gli italiani hanno sovrastimato la realtà di quasi
due volte (cioè: gli immigrati sono in realtà il 9% ma gli Italiani,
mediamente, ritengono che siano il 26%).
Per
la verità questa desolante situazione d’ignoranza quantitativa del “popolo
sovrano” non mi sorprende affatto: il
rapporto fra percezione e realtà costituisce un tema cruciale del nostro tempo,
osserva Ilvo Diamanti nel breve commento che conclude lo studio di Pagnoncelli;
soprattutto perché evoca – e delinea –
quell’entità informe – eppure così importante [e, aggiungo io: idolatrata]
– che passa sotto il nome di opinione
pubblica. O meglio: Opinione Pubblica, con le iniziali maiuscole; e i
lettori di questo blog sanno
benissimo che cosa penso dell’Opinione Pubblica.
Ma,
confesso, la desolante situazione d’ignoranza quantitativa del “popolo sovrano”
molto mi preoccupa perché (qui è
Pagnoncelli che scrive) il dominio delle
percezioni ci rende prigionieri dei nostri pregiudizi e orienta i nostri
atteggiamenti e i nostri comportamenti. E
ciò vale per tutto ciò con cui entriamo in contatto nel mondo contemporaneo,
dai fenomeni più vicini a quelli apparentemente più distanti. Dalle scelte
riguardanti i nostri consumi a quelle politiche. Con la differenza, però,
che credere che una certa brillantina arresti la caduta dei capelli fa poco
danno; ma prendere una clamorosa cantonata sulla reale dimensione dei problemi
può fare un’enorme differenza nell’azione politica, sia che si tratti di azione di democrazia diretta (tipicamente: un referendum
popolare) sia che si tratti invece di un’azione di democrazia indiretta (tipicamente: quella messa in atto
da partiti politici).
Ma come si formano le opinioni? Sulla base
delle fonti di informazione…dice Pagnoncelli; già, ma quante volte su autorevoli
giornali abbiamo visto, tanto per fare solo un esempio fra i più grossolani,
confondere i milioni coi miliardi? E quante volte, in TV o alla radio, abbiamo
assistito (con personale disgusto) ad un uso dei numeri così cialtronesco da
far sperare che chi li esponeva non li avesse nemmeno capiti? E quante volte abbiamo visto i politici del momento usare i
numeri come gli ubriachi fanno coi lampioni: più per sorreggersi che per
illuminarsi?
Dunque,
per concludere: non solo diffidate di chi, di un fenomeno, vi descrive (magari strepitando) le
qualità senza darvene le quantità; ma state molto attenti, veramente molto
attenti, anche alle quantità che talora vi indica; e quando vi è possibile, verificatele o
verificatene la fonte. Come credo di aver detto altre volte, un bicchiere
d’acqua disseta, un’ondata travolge. Per questo le quantità sono importanti e
il numero –come dice il titolo di questa rubrichetta – difende (l’intelligenza
delle cose).
Roma
14 maggio2016
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