sabato 7 maggio 2016

Il tempo del tassista

Ragionando di musiche
(di Felice Celato)
Stavolta un tassista anziano mi ha dato da pensare. Mentre davanti a noi infuriava un litigio fra automobilisti (per banali motivi di traffico, direbbe il buon giornalista), l’anziano tassista mi fa: “Dottò, il fatto è che qui nun semo più bboni a annà a tempo; e si nun vai a tempo nun poi sta nell’orchestra!”
Non sono un esperto di musica e, forse, nemmeno un musicofilo; sì, mi piacciono molti bei brani di musica, qualche opera, qualche sinfonia, alcuni anche mi commuovono. Ma tutto lì; di qui ad intendersi di musica ci corre un mare (di ignoranza). Però fino  a formulare questa analogia per dar corpo alla sentenza del tassista ci arrivo: immaginate un’opera dove ognuna delle singole componenti della fusione musicale abbia un suo tempo, diverso da quello delle altre; prestissimo il coro, ma grave i bassi e presto i tenori del coro stesso, andante i violini dell'orchestra ma adagio gli ottoni e allegretto i solisti in voce, etc.etc.. Immagino (ripeto: non mi intendo di musica) che quella fusione musicale che dà corpo all’opera, quel tessuto armonico che la compone, ne sarebbero devastati.
Bene: e se, come in fondo scriveva qualche giorno fa Orsina su La stampa a proposito dei dissidi fra singoli stati ed Europa, avesse proprio ragione il tassista? Se, allontanandoci dalla contingenza che ha dato luogo alla sua sentenza, il nostro problema fosse veramente un semplice problema di tempo, di tempi? Se, cioè, fosse il tempo o, meglio, la diversa idea del tempo, la chiave della nostra discordia? Il tempo che ciascuna componente della nostra società (se c’è ancora, da noi, una società!) immagina necessario per trovare le soluzioni ai problemi dei quali il tempo ci è sfuggito; il tempo del quale ci affrettiamo continuamente a tirare le somme, perché oramai siamo divenuti incapaci di dare ai rimedi i tempi che abbiamo dato ai guasti per prodursi; il tempo nella sua dimensione qualitativa (il kairos dei Greci) estraniata dalla sua estensione quantitativa (il kronos )? Se fosse solo questa la chiave della nostra discordia (non a caso, il cuore, cui allude l’etimo della discordia, ha i suoi ritmi!) forse potremmo dirci meno disperati di come sembriamo. Forse ci è semplicemente sfuggito il ritmo dei passi: aspirazioni da scattisti su un percorso necessariamente fatto per maratoneti; a distruggere questo paese ci abbiamo messo tempo, abbiamo disceso la china con passo sicuro ma cadenzato; ora vorremmo vederlo rinascere, questo paese, a grandi scatti, senza memoria della lunga corsa fatta in discesa, senza nessuna voglia di correre a lungo per risalire.
Beh! se fosse solo un problema di tempi per inseguire fini condivisi, forse il nostro problema, i nostri problemi sarebbero facilmente risolvibili: basterebbe forse solo riportare ad unicità le ordalie elettorali, su scala nazionale e, meglio ancora, europea. Un election day ogni cinque anni, per amministrazioni locali, nazionali, europee: le azioni politiche avrebbero il tempo necessario per essere giudicate, non ci sarebbero continue isterie da verifiche vere o presunte, e i cittadini ritornerebbero forse in grado di giudicare con la serenità e l’equilibrio che ogni azione politica postula perché se ne possano minimamente valutare gli effetti. Le promesse di crescita uscirebbero dalla logica dello zero virgola per ogni trimestre; la riduzione del debito cesserebbe di essere una promessa rinviata di semestre in semestre; i frutti delle cosiddette riforme avrebbero tempo di maturare e di rivelare il loro vero valore, al riparo dagli hurrah e dalle deprecazioni quotidiane; i flussi dei migranti acquisterebbero la misura del tempo ragionevolmente necessario per valutarne l’impatto ed attuarne la gestione; e così via, secondo i ritmi fisiologici propri di ogni azione, specie di quelle di restauro dei danni accumulati nel tempo (per usare un’altra metafora: per far sparire le rughe non basta applicare una crema per tre giorni).
Ma temo che  non sia solo un problema di tempo per riaccordare l’orchestra; il problema vero, ahimè, non è solo del ritmo ma dello spartito: non solo non riusciamo più ad annà a tempo, come l’orchestra del nostro tassista filosofo, ma addirittura teniamo di fronte a noi spartiti diversi e ne confondiamo le pagine; sicché alcuni pensano di suonare l’adagio di Albinoni ma hanno davanti la quarta pagina dell’Inno alla gioia, mentre altri intonano un crescendo rossiniano o la marcia dell’Aida cercando con gli occhi le note sullo spartito dell’Intermezzo della Cavalleria rusticana. Il risultato è davanti agli occhi (e agli orecchi) di tutti.
Roma 7 maggio 2016


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