Psicoanalisi politica
(di Felice Celato)
Fateci caso: da noi, quando qualcosa non va, la colpa è dell’Europa; o perché ce n’è troppa (dalla politica fiscale fino, addirittura, al prezzo delle sofferenze bancarie) o perché ce n’è poca (dalla immigrazione alla sicurezza). In ogni caso, ogni giorno, l’Europa viene desiderata con frustrazione o colpevolizzata con acrimonia, come lo sarebbero il padre o la madre di un immaginario enorme Edipo nazional-freudiano. E ciò, anche da chi proprio non dovrebbe (proprio non dovrebbe!) alimentare pulsioni distruttive verso quella che, nelle retoriche mistificanti di ogni giorno, proclamiamo ad un tempo il nostro merito storico ed il nostro futuro.
Non voglio tentare io una abborracciata psicoanalisi politico-istituzionale, ma lasciatemi dire (a costo di essere coperto di contumelie) quello che penso; e che cioè, con ogni probabilità, alla radice di molti dei mali europei (almeno di tutti quelli che concernono l’Unione Economica e Monetaria Europea) ci sono proprio i comportamenti del nostro paese. L’Europa soffre infatti di una profonda crisi di fiducia in se stessa che ha senz’altro molte ragioni, con conseguenze che spesso travalicano gli ambiti in cui tali ragioni maturano; ma fra queste, secondo me spicca la crisi finanziaria in cui è incorsa la Grecia e che, a torto o a ragione, viene percepita come possibile (per non dire probabile) anche per l’Italia. Proviamo a vedere quello che, semplificando molto, può essere definito come il punto di vista tedesco (ma io direi meglio: nord-europeo), così come lo riassume con grande chiarezza il prof. Guido Tabellini su Il sole 24 ore di qualche giorno fa: secondo questo punto di vista chi ha il controllo su determinati strumenti di politica economica deve anche essere pienamente responsabile per le conseguenze delle sue azioni. Questo principio, difficile da rifiutare, nel contesto europeo si poteva attuare secondo modalità alternative: 1) la sovranità fiscale ed economica è trasferita al livello Europeo, insieme alla condivisione dei rischi e delle responsabilità tra paesi; 2) la sovranità resta nazionale, il che preclude qualunque forma di condivisione di rischi e responsabilità. Ma, la prima ipotesi oggi non è [politicamente] realizzabile, perché nessuno accetterebbe di lasciare che sia l’Europa a decidere il livello di imposizione fiscale, o di spesa pubblica, o le istituzioni sul mercato del lavoro…..La seconda ipotesi, invece, in situazione di unità monetaria, semplicemente esige di evitare che gli errori di alcuni stati membri ricadano sui cittadini di altri stati. Quindi – e questo è il motivo dei tanti nein addebitati ad una sorta di presunta ottusità tedesca – No a un sistema comune di assicurazione dei depositi, No all’emissione di debito Europeo, No alla condivisione dei rischi. Occorre invece ridurre i rischi, inducendo le banche a ridurre la quota di debito pubblico domestico, intensificando il bail-in dei creditori e accettando che le crisi sul debito sovrano si risolvono anche con la ristrutturazione del debito e non solo con ulteriori prestiti.
Certo, avverte Tabellini, tra le ipotesi 1 e 2 c’è tutto un continuum, naturalmente. Ma i tedeschi non si fidano più. Vedono che la reazione comune alla crisi (la svolta della Bce, la nascita dell’Esm) ha avuto successo, ma si è anche accompagnata a cambiamenti politici interni in molti paesi, e ha portato a un rallentamento del risanamento fiscale e delle riforme [peraltro spesso, almeno da noi, focalizzate su temi inconferenti rispetto al problema del risanamento del debito pubblico]. Quindi la cosa più importante è ristabilire la fiducia reciproca. E questo significa innanzitutto far scendere il debito pubblico (*). Non solo perché ciò fa parte degli accordi europei, ma anche perché obiettivamente il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli che mettono a repentaglio la stabilità finanziaria, non solo dell’Italia. La riduzione del debito è una priorità anche in una prospettiva puramente nazionale.
Bene: se questa è, come credo, una corretta rappresentazione del punto di vista dei tedeschi e degli altri paesi finanziariamente virtuosi, ditemi, dove hanno torto? O invece abbiamo, noi, bisogno di uno psicoanalista?
Roma 29 marzo 2016
(*) Per nostra memoria: il Debito Pubblico italiano era pari al 99,7 % del PIL nel 2007; 10 anni dopo, caratterizzati da una “asfissiante austerity” come direbbe un qualsiasi politicante Italiano, è previsto pari al 132,4% (Winter Forecast 2016)
Nessun commento:
Posta un commento