Porzioni
(di
Felice Celato)
Oltre
4 anni fa (il 4 febbraio del 2012) su queste pagine (il titolo del lungo post
era Utopie?) abbiamo accennato al
mito della decrescita felice, reso
alla moda, fra i sazi saggi, da un fortunato libretto di Serge Latouche (Breve trattato della decrescita serena)
e abbiamo contrapposto alla decrescita – la
concreta utopia (sic!) vagheggiata da Latouche – un’auspicata ricrescita
della nostra umanità, se si vuole, prima
ancora che delle nostre economie.
Sento
il bisogno di ritornarci sopra, proprio mente si riaffacciano (addirittura in
forma dissennatamente referendaria) quesiti che si prestano, nel fondo, ad
alimentare una superficiale ostilità allo sviluppo, magari destinata ad attecchire
nelle menti più aperte alle mode del “pensiero” suggestivo (temo che su questo
argomento dovremo tornare prossimamente).
Eppure
proprio in questi ultimi mesi si è imposto alla cronaca delle nostre miopie un
tema che dovrebbe farci riflettere: la “sfida” posta alle nostre economie
rappresentata dall’”ondata dei rifugiati” che scuote le porte dell’Europa.
Certo si può pensare di eluderle, queste “sfide”, o meglio di confinarle al di
fuori dei nostri recinti, con muri, guardie e fili spinati. Ma io sono convinto
che, al di là dei miserevoli meccanismi che regolano il fragile accordo fra
Europa e Turchia, la soluzione di questo enorme problema – che è ben lungi
dall’essere contingente, ricordiamocelo – sta proprio lungo la strada
intravvista con lungimiranza e capacità di leadership
da Angela Merkel.
Ora,
questa strada presuppone non una decrescita (felice o infelice che sia) ma una
crescita delle nostre economie; una crescita, ben s’intende, realizzata in un
quadro di sostenibilità complessiva, con saggezza e lungimiranza, ma pur sempre
una crescita. Se si pensa che l’assorbimento di ingenti masse di nuovi
cittadini europei possa avvenire semplicemente ripartendo la torta della
ricchezza dei vari paesi in fette più piccole di quelle che attualmente spettano
a ciascun cittadino, si commette un tragico errore di valutazione, non solo
economica ma anche politica; e saranno i dilaganti populismi xenofobi e
sicuritaristi, i cultori dei muri e dei fili spinati, a trarne vantaggio, in
tutta Europa. Almeno per un po’, finché le “dighe” invocate da alcuni
reggeranno (dopo saranno solo le armi a parlare), a loro basterà presentarsi
come i tutori delle porzioni di torta cui siamo abituati!
Piaccia
o non piaccia, il problema si risolve solo con la crescita, come ha ben capito
Angela Merkel, cioè solo con l’allargamento della famosa torta! E facendo dei
rifugiati i co-protagonisti di questo allargamento.
Non
sarà un caso, credo, se, come ricorda Il
sole 24 ore di ieri, il capo economista della Deutsche Bank definisce
quest’onda – per la Germania – come “la
più grande opportunità economica dalla riunificazione tedesca”; e se il
Fondo Monetario Internazionale sostiene che saranno proprio i Paesi che
accoglieranno il maggior numero di rifugiati a ricevere una spinta addizionale
alla crescita che può arrivare fino all’1,1%, comportando per contro, in Europa, un aumento
della popolazione valutato addirittura inferiore allo 0,2%.
Certo,
perché questa prospettiva possa diventare una concreta linea politica occorre
che la crescita sia una aspirazione condivisa, una convinzione diffusa; bisogna
credere che crescere non si può per decreto e che crescere vale la fatica che
comporta; che, naturalmente, occorre anche saper gestire le cosiddette esternalità negative dello
sviluppo, perché nulla si produce senza affanno; che la decrescita serena, qualunque cosa voglia dire nel concreto, può
essere solo la prospettiva di un futuro che esige muri per confinare
all’esterno la pressione di chi ha fame di benessere e non può permettersi di
sognare decrescite di sorta.
Roma
20 marzo 2016 (vigilia di primavera e domenica delle palme)
Nessun commento:
Posta un commento