In partibus fidelium
(di Felice Celato)
Tutte le mattine
( quando non piove) percorro a piedi la Via de' Cestari. Per i non romani: la
Via de' Cestari, una volta sede di botteghe di fabbricanti di ceste (da qui il
nome), è una piccola via del centro di
Roma - saranno poco più di cento metri, fra piazza di Torre Argentina e piazza
della Minerva - dove oggi si addensano i più importanti negozi di oggetti sacri
e di abiti e paramenti ad uso ecclesiale (altri ce ne sono in via della
Conciliazione, ma…meno professionali, più ad uso di pellegrini).
Riconosco che le
ampie vetrine dedicate a paramenti indossati da agili manichini possono
suscitare le ironie degli anticlericali; una volta una mia amica francese
super-laicissima, in visita a Roma per ragioni di lavoro, mi chiese di farle
fare un giro per Via de' Cestari, perché, così mi disse, la divertiva molto la
"mode des prêtres", anzi
fece anche un divertente gioco di parole con l'espressione modaiola prêt-à-porter.
Sarà perché nel week-end avevo maturato tempestose riflessioni clericali ( a
dispetto di tanti anti-clericali di Santa Madre Chiesa), sarà perché di lunedì
mattina sono (da sempre) naturalmente irritabile; fatto sta che mi sono molto
irritato, stamane, verso tre giovanissimi preti stranieri ( o forse tardi
seminaristi) che ridevano fra loro davanti alla più sontuosa delle vetrine
chiesastiche, forse inconsapevoli eredi delle pruderies laiciste dei tanti anticlericali come la mia amica
francese.
In effetti Via de' Cestari,
con le diverse reazioni che suscita, è una specie di topos dei miei sentimenti di guelfo atipico: nato in una regione
che, per aver lungamente sofferto il
dominio dello Stato Pontificio, ha una profonda vena anticlericale anche presso
i più fedeli paulotti (persino i nomi
propri delle persone riflettono spesso questa diffusa cultura popolare), sono tuttavia
soggetto a violente orticarie quando vedo primeggiare uomini di chiesa in
manifestazioni di anticlericalismo: mi sta anche bene che gli anti-clericali
dicano male della ( o facciano ironie sulla) Chiesa, specie se lo fanno, come
talora accade (ma non sempre) con
intelligenza e senza stupide faziosità ; ma non mi sta affatto bene quando i fedeli
fanno gli anticlericali per fare i ruffiani verso la dominante cultura anticlericale. Questo mi innervosisce oltremodo e scatena tutta la mia vis polemica (come stava per accadere
appunto nel week-end di fronte ad un
articolo di Mons. Galantino comparso su Il
sole 24 ore, come prima pietra di una collaborazione stabile fra
l'importante ecclesiastico e il giornale della Confindustria, del resto già
frequentato da firme di illustri uomini di Chiesa, dal cardinale Ravasi al
vescovo e teologo Forte).
Ecco, Via de’ Cestari, con i
preti e le suore che passano sbirciando le vetrine e i turisti che si fanno i selfie davanti alle càsule colorate, è per
me una specie di quotidiano luogo di
incontro fra i due mondi: quello dei significati e quello dei significanti, due
mondi che incorporano in sé le logiche proprie delle rispettive appartenenze,
ignorandosi agli occhi dei più, anzi mischiandosi apparentemente, per insopprimibili
esigenze meramente commerciali, è ovvio. Alla mia amica francese dovetti
spiegare che i colori delle càsule non rispondevano al gusto modaiolo dei
singoli ecclesiastici ma a precise esigenze liturgiche in funzione dei tempi,
appunto, liturgici. “Ah! – concesse
lei – très intéressant mais toutefois amusant”. E va bene, che vuoi dire?
Tenacia dei pregiudizi negativi! Del
resto, da parte meno tenace e più... “ecumenica”, in partibus fidelium, Mons. Galantino chiama “Maestro” (con la M
maiuscola), l’inossidabile anticlericale Dario Fò: un pregiudizio positivo, stavolta, per
me guelfo (c.s.) très intéressant mais pas du tout amusant.
Roma, 14 marzo 2016
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