lunedì 14 marzo 2016

Via de' Cestari

In partibus fidelium
(di Felice Celato)
Tutte le mattine ( quando non piove) percorro a piedi la Via de' Cestari. Per i non romani: la Via de' Cestari, una volta sede di botteghe di fabbricanti di ceste (da qui il nome), è una piccola via  del centro di Roma - saranno poco più di cento metri, fra piazza di Torre Argentina e piazza della Minerva - dove oggi si addensano i più importanti negozi di oggetti sacri e di abiti e paramenti ad uso ecclesiale (altri ce ne sono in via della Conciliazione, ma…meno professionali, più ad uso di pellegrini).
Riconosco che le ampie vetrine dedicate a paramenti indossati da agili manichini possono suscitare le ironie degli anticlericali; una volta una mia amica francese super-laicissima, in visita a Roma per ragioni di lavoro, mi chiese di farle fare un giro per Via de' Cestari, perché, così mi disse, la divertiva molto la "mode des prêtres", anzi fece anche un divertente gioco di parole con l'espressione modaiola prêt-à-porter.
Sarà  perché nel week-end avevo maturato tempestose riflessioni clericali ( a dispetto di tanti anti-clericali di Santa Madre Chiesa), sarà perché di lunedì mattina sono (da sempre) naturalmente irritabile; fatto sta che mi sono molto irritato, stamane, verso tre giovanissimi preti stranieri ( o forse tardi seminaristi) che ridevano fra loro davanti alla più sontuosa delle vetrine chiesastiche, forse inconsapevoli eredi delle pruderies laiciste dei tanti anticlericali come la mia amica francese.
In effetti Via de' Cestari, con le diverse reazioni che suscita, è una specie di topos dei miei sentimenti di guelfo atipico: nato in una regione che,  per aver lungamente sofferto il dominio dello Stato Pontificio, ha una profonda vena anticlericale anche presso i più fedeli paulotti (persino i nomi propri delle persone riflettono spesso questa diffusa cultura popolare), sono tuttavia soggetto a violente orticarie quando vedo primeggiare uomini di chiesa in manifestazioni di anticlericalismo: mi sta anche bene che gli anti-clericali dicano male della ( o facciano ironie sulla) Chiesa, specie se lo fanno, come talora accade  (ma non sempre) con intelligenza e senza stupide faziosità ; ma non mi sta affatto bene quando  i fedeli  fanno gli anticlericali per fare i ruffiani verso la dominante cultura anticlericale. Questo mi innervosisce oltremodo e scatena tutta la mia vis polemica (come stava per accadere appunto nel week-end di fronte ad un articolo di Mons. Galantino comparso su Il sole 24 ore, come prima pietra di una collaborazione stabile fra l'importante ecclesiastico e il giornale della Confindustria, del resto già frequentato da firme di illustri uomini di Chiesa, dal cardinale Ravasi al vescovo e teologo Forte).
Ecco, Via de’ Cestari, con i preti e le suore che passano sbirciando le vetrine e i turisti che si fanno i selfie davanti alle càsule colorate, è per me una specie di quotidiano  luogo di incontro fra i due mondi: quello dei significati e quello dei significanti, due mondi che incorporano in sé le logiche proprie delle rispettive appartenenze, ignorandosi agli occhi dei più, anzi mischiandosi apparentemente, per insopprimibili esigenze meramente commerciali, è ovvio. Alla mia amica francese dovetti spiegare che i colori delle càsule non rispondevano al gusto modaiolo dei singoli ecclesiastici ma a precise esigenze liturgiche in funzione dei tempi, appunto, liturgici. “Ah! – concesse lei très intéressant mais toutefois amusant”. E va bene, che vuoi dire?  Tenacia dei pregiudizi negativi! Del resto, da parte meno tenace e più... “ecumenica”, in partibus fidelium, Mons. Galantino chiama “Maestro” (con la M maiuscola), l’inossidabile anticlericale Dario Fò: un pregiudizio positivo, stavolta,  per me guelfo (c.s.) très intéressant mais  pas du tout  amusant.

Roma, 14 marzo 2016

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