Perché io non voto
(di Felice Celato)
Dunque
il 17 aprile – fra 15 giorni – siamo (come “popolo sovrano”) chiamati a votare
per escludere (votando si) che, a scadenza delle vigenti concessioni e qualora
i relativi giacimenti non siano esauriti, gli attuali concessionari di
sfruttamento per l’estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia dalla costa
possano ottenere una proroga, appunto
fino a che il giacimento non sia esaurito. Votando no, invece, tutto resterà
come attualmente disciplinato da una legge.
Io
non vado a votare almeno per i seguenti otto motivi, direi più di principio che di merito
(del resto minuscolo):
- la materia mi pare tutt’al più discutibile in sede tecnica; in un paese normale ogni decisione al riguardo (cioè: proroga o non proroga di concessioni già…concesse) sarebbe affidata alla Pubblica Amministrazione (e ai suoi organismi tecnici) non certo alla legge e men che meno scomodando il “popolo sovrano”;
- peraltro, dal punto di vista razionale, se a scadenza delle attuali concessioni i giacimenti non saranno esauriti, sarebbe sciocco non continuare a sfruttarli (beninteso: a meno che non si pensi che fra qualche anno potremo far a meno del petrolio e del gas!); se saranno esauriti, invece, nessuno ne chiederà la proroga.
- In tutti i paesi del mondo occidentale la possibilità di diminuire la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento delle fonti energetiche sarebbe salutato con entusiasmo; da noi si fa un referendum.
- La natura dei rischi paventati dai sostenitori del sì mi pare ovviamente meritevole di doverose valutazioni tecniche; ma io – in materia di valutazione di rischi geologici o ecologici – mi fido più dei tecnici che del “popolo sovrano”. Certo i tecnici sono fallaci ed influenzabili, come lo è ciascuno di noi (il “popolo sovrano”, preso tutto assieme, e i politici sondaggio-dipendenti, inclusi); ma, almeno, i tecnici sanno (o sono tenuti a sapere) di che cosa si parla. E se sbagliano, sono esposti (come non lo è né il popolo sovrano né lo sono i politici) al rischio di dover pagare per il loro errore.
- Inoltre manca (o meglio: io finora non ho trovato) una seria analisi delle cosiddette esternalità negative della mancata proroga (ripeto: se tale proroga fosse supportata dalla permanente consistenza dei giacimenti).
- Per questi motivi, a mio giudizio, è bene che il “popolo sovrano” non metta bocca in argomenti che non conosce direttamente; e quindi convocare un referendum in materia di data di scadenza di concessioni è stato un gravissimo errore delle regioni che lo hanno promosso (peraltro con presumibili, diverse finalità politiche), un errore passibile di gravi conseguenze per la naturale inettitudine del popolo ad esprimersi su questioni tecniche. Dunque è bene che fallisca (per mancanza di quorum).
- Ma c’è di più: le ragioni dei sostenitori del sì (cioè quelli che non vogliono ‘sta famosa proroga a scadenza delle concessioni) mi sembrano, nel loro complesso, ideologicamente fondate su un ecologismo new age, tipo “decrescita felice” ed altre lepidezze del genere (o anche tipo: no agli OGM, per intenderci), ma, ahinoi!, di gran presa sulle menti più suggestionabili. E il “popolo sovrano” è soggetto altamente suggestionabile (non occorre, qui, rifarsi a La psicologia delle masse di Freud; basterà pensare agli argomenti utilizzati - ahimè anche da parte ecclesiale! -nella campagna per il recente referendum sulla gestione dell’acqua e sulla remunerazione del capitale nelle relative imprese: persino l'acqua del battesimo è stata scomodata; occorre riconoscerlo: con successo!).
- E’ impressionante come in questo nostro incolto paese si immagini che la creazione ed il sostegno del nostro relativo benessere siano una partita senza fatica, senza valutabili rischi, senza accettabili contro-partite, giocabile in un giardino eternamente fiorito, ricco di alberi perennemente carichi di frutti pendenti e rallegrato dal canto degli uccellini. Ah! dimenticavo: un benessere a cui ci siamo abituati, di cui, anzi, sempre di più abbiamo bisogno, per noi e per gli altri di cui magari dovessimo in futuro farci carico, come la storia e la demografia sembrano imporre.
Per
tutti questi motivi, dunque, fra 15 giorni non andrò a votare.
Roma,
2 aprile 2016
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