Confini/frontiere
(di Felice Celato)
Giusto 5 anni fa [a proposito: il blog
compie domani il suo quinto anno di vita! Ad ogni ricorrenza annuale, qualche
parola l’ho spesa per dire quanto mi piace passare qualche ora a settimana a
riordinare pensieri e impressioni sul mondo che ci gira dattorno, per scriverne una nota talora
da condividere con qualcuno, talaltra solo per il gusto appunto del riordino
che si impone quando si scrive o proprio solo per tenere memoria di ruminazioni, magari solo frutto di
intense camminate urbane. L’ho fatto – sapete la mia ossessione per i numeri! –
quasi 400 volte (398 post, per
l’esattezza) in questi 1827 giorni, quindi una volta ogni 4 o 5 giorni; troppo?
Forse. Ma in fondo che male c’è a tentare di tener traccia di ciò che ci passa
per la mente, o, talora, per l’anima? Se poi penso che, mediamente, 17 persone
al giorno si sono affacciate sul sito in questi cinque anni, magari, alcuni, con
l’idea di trovare uno spunto di dialogo, allora penso che proprio male non ho
fatto. In fondo, al netto delle banalità che ci assordano, ci parliamo così
poco che anche uno spunto di dialogo non può farci che bene. E dunque ben
volentieri mi perdono di questa cura che potrebbe apparire una piccola vanità
intellettuale]; giusto 5 anni fa, dicevo, scrivendo il post che ha
raccolto più visite (quasi 1200 in cinque anni per Confini/ frontiere
del 19 aprile 2010) cominciavo così:
Le confuse agitazioni di qualche giorno fa al
confine fra l’Italia e la Francia hanno fatto riemergere dal fondo della mia
memoria di Europeo un concetto, un’idea, un oggetto (o meglio una serie di
segni costituenti “l’oggetto frontiera”) che giaceva seppellito sotto una
montagna di abitudini ormai acquisite: avevamo perso, almeno in Europa, il
concetto di frontiera, di confine.
E dopo una serie di considerazioni sul concetto
di confine in una dimensione esistenziale, con poca lungimiranza, concludevo così: di
fronte a ciò, l’ammassarsi di forze di polizia dall’una e dall’altra parte del
confine di Ventimiglia ha assunto ai miei occhi una connotazione bizzarra, una
grottesca epifania felliniana di un mondo passato privo di un senso attuale,
per fortuna durata poche ore.
Esattamente cinque anni dopo, quasi come se il
tempo abbia cominciato a riavvitarsi, quella che avevo considerato una
grottesca epifania felliniana si ripete, stavolta dall’altra parte d’Italia
(al Brennero), secondo riti un po’ diversi, per certi aspetti anche più rozzi:
nemmeno scettici ma mobili soldati, stavolta, ma muri, forse piccoli, è vero,
forse solo simbolici, ma sicuramente paradossali (anche nella loro fissità
fuori dal tempo). La domanda di confini sembra rinata in quest’Europa
confusa e depressa, catatimica e gesticolatoria; rinasce, come se i confini
fossero –l'abbiamo già detto (Confini e telecomando, del 2 sett 2015) – il
telecomando col quale possiamo rimuovere dal nostro piccolo schermo le immagini
spiacevoli del nostro tempo, certi che quod non est in video non est in
mundo.
Eppure, rimango della mia opinione, la nuova domanda
di confini è una domanda vacua e antistorica (se anche il presente, come
ogni presente, tende a farsi storia): non li vogliamo, i confini, per le idee,
le merci, il petrolio, il gas, i servizi, i capitali, il turismo, lo sport, le opportunità
e persino per la domanda di felicità che ciascuno di noi porta in sé e che si
esprime anche nella crescente internazionalizzazione dei nostri giovani; ma li
vogliamo per chi fugge dalle guerre e dalle devastazioni e dalle crudeltà che le
guerre si portano dietro; li vogliamo
anche noi che nella storia tante volte li abbiamo varcati per sopravvivere; li
vogliamo, soprattutto, perché non abbiamo più gli stamina culturali e vitali che ci
consentirebbero di produrre quel minimo di ricchezza in più, necessaria per
assorbire senza alcun problema quella piccola porzione di umanità che preme
disperata alle nostre porte. Li vogliamo perché siamo prigionieri delle nostre
paure. E perché non siamo più capaci di
utilizzare le nostre intelligenze per produrre soluzioni; preferiamo fabbricare
slogan (semplici, per carità!) e qualche nuova epifania felliniana destinata a rassicurare le pance dei nostri
elettorati.
Roma 15 aprile 2016
P.S. Paradossi del nostro tempo: mentre scrivevo
questo post mi è arrivato l’invito a
sottoscrivere in rete una petizione per chiedere l’abolizione della castrazione
dei suinetti senza anestesia; petizione, per carità, anche giusta. Dobbiamo
essere solidali coi nostri suinetti.
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