sabato 16 gennaio 2016

Tempi grami

Verbigerazioni
(di Felice Celato)
E’ con grande fastidio che rimetto in ordine, chiacchierandone con voi, pochi amici, le mie idee sulle cronache politiche di questi giorni: da qualche tempo la lettura dei giornali mi è diventata così pesante da sentirla solo come l’adempimento dell’angoscioso dovere di mantenersi in qualche modo informati, pur nel disgusto per la povertà dei nostri orizzonti, povertà che  meriterebbe solo tristo silenzio.
La violenta polemica italo-europea di questi giorni è il frutto, da parte nostra, di un’accondiscendenza irresponsabile alle pulsioni anti-europee che serpeggiano, in Italia come in altri paesi dell’Unione, fra diverse forze politiche che mescolano una (in parte fondata) profonda insoddisfazione per la governance dell’Unione  con la cieca ignoranza dell’abisso che avvolge ogni scenario alternativo. La strada della delegittimazione dell’Europa e della denigrazione delle sue strutture è una strada radicalmente sbagliata (e gravida di possibili conseguenze negative), come lo è quella dell’approccio gesticolatorio e rumorosamente rivendicativo, quand’anche possa apparire utile per schermaglie da italianissimi talk-shows: lo era, sbagliata, quando la intraprese Berlusconi e lo è, ora, quando la intraprende Renzi, tanto più perché si sono affacciati problemi che postulano soluzioni che vanno ben al di là dei modesti confini nazionali. L’Italia, dice il nostro Presidente del Consiglio Renzi, merita rispetto; ed ha ragione se si riferisce alla sua storia, anche di paese fondatore dell’Europa, e al suo presente di paese economicamente e socialmente non irrilevante; ma ha profondamente torto, il nostro Presidente del Consiglio, quando finge di ignorare (e certamente non ignora) che il rispetto si guadagna ogni giorno sul campo della coerenza coi propri impegni internazionali solennemente assunti e annualmente ribaditi: mi riferisco al cruciale impegno che l’Italia ha assunto fin dal 1992 (Trattato di  Maastricht) e ribadito più volte  (da ultimo nel 2012 col Trattato cd sul fiscal compact) di ridurre drasticamente il rapporto Debito pubblico/ PIL; tale rapporto, che nel 1992 era del 105% e a fine 2015 del 133% (né si prevede che a fine 2016 diminuirà), è, a ragione, sentito dall’Europa come un “macigno” pendente sul capo dei suoi cittadini tutti, Italiani, sì, ma anche Europei; un “macigno” che l’Italia si è impegnata a rimuovere e non rimuove (se non dalla propria psiche collettiva); un “macigno” – è inutile girarci attorno, l’abbiamo già detto – che è alla radice di gran parte dei nostri problemi, interni e con l’Europa; un “macigno” che affonda le sue origini in un patto scellerato a vantaggio delle generazioni presenti e a danno delle future, continuamente rinnovato fra politica e società,  tutti uniti in quest’opera vergognosa e dissennata: uniti gli elettori e gli eletti, i partiti e i sindacati, la società civile e la società politica, come si diceva nel libro Il liberale che non c’è segnalato qualche giorno fa. Ora, è ben vero (in parte) che l’Italia “sta facendo le riforme”; ma si dà il caso che nessuna di esse affronta di petto tale problema (anzi ci battiamo per la cd flessibilità, cioè la possibilità di fare altri debiti,  della quale rivendichiamo un po’ bambinescamente l'originazione, salvo poi utilizzarla per concedere bonus “culturali” ai neo-diciottenni, purché elettori!). Con tutto ciò, continua ad avere ragione il nostro Presidente del Consiglio: l’Italia merita rispetto (e forse, come scrive Polito sul Corriere di oggi, anche Juncker ha fatto male ad esternare il proprio fastidio); ma chi sa (o fondatamente crede) di meritare rispetto, prima di tutto lo mostra, il suo vicendevole rispetto, coi suoi comportamenti e con i suoi toni: l’Europa vive già tempi abbastanza grami per non indugiare – soprattutto se il popolo Italiano può rivendicare, stavolta indubbiamente a ragione, il suo storico ruolo di paese fondatore – in continue verbigerazioni fatte di accuse di burocraticismo (senti chi parla!, mi verrebbe da dire da liberale pensando al nostro Paese) e di insensibilità politica (che poi, in buona parte, si concretizza in fastidio per l'eccesso di debito). L’Europa, piaccia o non piaccia agli avversari politici del nostro Presidente del Consiglio che sembra esserne condizionato, siamo noi; e a noi sta il compito di saper gestire con dignità questa nobile partnership, anche quando essa sembra in difficoltà. Anzi, tanto più. Specie quando si rivendica, fondatamente, una convincente leadership.
Roma, 16 gennaio 2016


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