Aria fresca
(di Felice Celato)
Per una congiuntura favorevole, mi sono trovato fra le
mani, in queste "vacanze" in cui il solo “sfoglio” dei giornali sarebbe stato particolarmente angoscioso, due letture nelle quali si respira la fresca aria
della libertà e del liberalismo. La prima è un pamphlet di qualche anno fa ( ma tuttora, purtroppo, attuale) scritto
da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina intitolato Il liberismo è di sinistra (Il saggiatore, 2007) nel quale si
mettono in fila le neglette prospettive di un assetto liberale della nostra
società /economia (dalla meritocrazia alla spesa pubblica) misurandole in
termini di inevitabile gradimento per chi autenticamente abbia una sensibilità
di sinistra (qualsiasi cosa voglia dire questo, oggi, aggiungo io).
Il secondo è un volumetto
più complesso (perché spazia dalla filosofia politica all’economia e alla
bioetica) ma egualmente "rinfrescante": si tratta di Il liberale che non c’è, di AA.VV.
(Castelvecchi, 2015) del quale mi ha colpito – fra gli altri – soprattutto un
durissimo capitolo (scritto da Giuseppe Bedeschi) sullo stato ( e sul debito
pubblico), che francamente ho sentito totalmente mio. Del resto, come abbiamo
detto altre volte, è inutile girarci intorno: che lo si voglia capire o
no, il nostro più grave problema è il disastro del nostro debito pubblico,
disastro morale prima che economico e finanziario perché ha visto per anni tutti uniti in quest’opera vergognosa e dissennata: uniti gli elettori
e gli eletti, i partiti e i sindacati, la società civile e la società politica.
[Ecco
perché per uscirne abbiamo bisogno di verità
e perdono reciproco, come dicevamo a
proposito delle 5 parole per il 2016.
Che mi crediate o no, io sono veramente convinto che gli Italiani godano,
all’estero, di una certa ammirazione per la loro intelligenza; accanto a tanti
altri stereotipi negativi sugli Italiani (mafiosi, camorristi, proclivi
all’illegalità, furbacchioni, confusionari, goderecci, rumorosi, chiacchieroni,
etc) anche questo, positivo, regge, e forse anche fondatamente (al pari di
molti degli altri negativi). Eppure delle volte mi viene il dubbio, che però
mitigo col ricorso a qualcuno degli stereotipi negativi: se talora sembriamo non capire, non è perché “proprio non ci arriviamo” ma perché ci fa
comodo, furbescamente, fingere di non
capire, per continuare a godere dei
benefici che il fingere di non capire sembra assicurarci (a scapito dei
posteri). Solo così si spiegano tante parole che ho sentito pronunciare in
questi tempi, soprattutto in relazione ai nostri turbati (e un po’ infantili)
rapporti con l’Europa, a base di pugni sul tavolo e cappelli in testa, cioè non in mano].
A queste citazioni ne vorrei aggiungere una, più lieve,
che traggo da un altro libro in corso di lettura (Permesso, scusi, grazie, Dialogo fra un cattolico fervente ed un laico
impenitente, Eri, 2014) nel quale due autentici "personaggi"
(Ettore Bernabei e Sergio Lepri) si confrontano sui loro ricordi di quasi un
secolo di storia italiana, con memorie gradevolissime e opinioni brillanti ( ancorché
da me non sempre condivise). Bene, in questo piacevole volumotto ho trovato una
specie di fulminante sintesi che Bernabei fa del pensiero di Dossetti che ben
si collega ad una autentica sensibilità liberale, anzi direi che ne è il
distillato: “Dossetti intervenne sostenendo che nella Costituzione doveva essere affermato un principio cardine, che
segnasse una cesura col passato regime fascista: il riconoscimento
dell’anteriorità della persona umana rispetto allo stato, che si realizza..etc”.
Forse non annovererei Dossetti fra i campioni del pensiero liberale (tant’è che
ho…abbreviato la citazione) ma l’affermazione (così come riferita da Bernabei
ed isolata dal contesto) mi pare l’epitome del liberalismo (direi di un
liberalismo cattolico), almeno come lo intendo io; una sorta di discrimine fondamentale, dal quale dipendono via via tutti gli altri.
Col conforto di queste
letture – come dicevo all’inizio – sono riuscito a limitare l'attenzione che,
invece, sarebbe stato giusto dedicare ad alcuni fatti che segnalano una
indomabile (e pericolosa) irrequietezza del nostro mondo: dalle bravate Nord Coreane ai
significativi fatti di Colonia, dai problemi delle frontiere interne Europee
alla “febbre” cinese, per tacere dei torbidi scossoni mediorientali. Temo però che, con la piena ripresa del normale corso
dell’anno, dovremo tornare a riparlarne.
Roma 7 gennaio 2016
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