giovedì 7 gennaio 2016

Letture liberali

Aria fresca
(di Felice Celato)
Per una congiuntura favorevole, mi sono trovato fra le mani, in queste "vacanze" in cui il solo “sfoglio” dei giornali sarebbe stato particolarmente angoscioso, due letture nelle quali si respira la fresca aria della libertà e del liberalismo. La prima è un pamphlet di qualche anno fa ( ma tuttora, purtroppo, attuale) scritto da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina intitolato Il liberismo è di sinistra (Il saggiatore, 2007) nel quale si mettono in fila le neglette prospettive di un assetto liberale della nostra società /economia (dalla meritocrazia alla spesa pubblica) misurandole in termini di inevitabile gradimento per chi autenticamente abbia una sensibilità di sinistra (qualsiasi cosa voglia dire questo, oggi, aggiungo io).
Il secondo è un volumetto più complesso (perché spazia dalla filosofia politica all’economia e alla bioetica) ma egualmente "rinfrescante": si tratta di Il liberale che non c’è, di AA.VV. (Castelvecchi, 2015) del quale mi ha colpito – fra gli altri – soprattutto un durissimo capitolo (scritto da Giuseppe Bedeschi) sullo stato ( e sul debito pubblico), che francamente ho sentito totalmente mio. Del resto, come abbiamo detto altre volte, è inutile girarci intorno: che lo si voglia capire o no, il nostro più grave problema è il disastro del nostro debito pubblico, disastro morale prima che economico e finanziario  perché ha visto per anni tutti uniti in quest’opera vergognosa e dissennata: uniti gli elettori e gli eletti, i partiti e i sindacati, la società civile e la società politica. 
[Ecco perché per uscirne abbiamo bisogno di verità e perdono reciproco, come dicevamo a proposito delle 5 parole per il 2016. Che mi crediate o no, io sono veramente convinto che gli Italiani godano, all’estero, di una certa ammirazione per la loro intelligenza; accanto a tanti altri stereotipi negativi sugli Italiani (mafiosi, camorristi, proclivi all’illegalità, furbacchioni, confusionari, goderecci, rumorosi, chiacchieroni, etc) anche questo, positivo, regge, e forse anche fondatamente (al pari di molti degli altri negativi). Eppure delle volte mi viene il dubbio, che però mitigo col ricorso a qualcuno degli stereotipi negativi: se talora sembriamo non capire, non è perché “proprio non ci arriviamo” ma perché ci fa comodo, furbescamente, fingere di non capire, per continuare a godere dei benefici che il fingere di non capire sembra assicurarci (a scapito dei posteri). Solo così si spiegano tante parole che ho sentito pronunciare in questi tempi, soprattutto in relazione ai nostri turbati (e un po’ infantili) rapporti con l’Europa, a base di pugni sul tavolo e cappelli in testa, cioè non in mano].
A queste citazioni ne vorrei aggiungere una, più lieve, che traggo da un altro libro in corso di lettura (Permesso, scusi, grazie, Dialogo fra un cattolico fervente ed un laico impenitente, Eri, 2014) nel quale due autentici "personaggi" (Ettore Bernabei e Sergio Lepri) si confrontano sui loro ricordi di quasi un secolo di storia italiana, con memorie gradevolissime e opinioni brillanti ( ancorché da me non sempre condivise). Bene, in questo piacevole volumotto ho trovato una specie di fulminante sintesi che Bernabei fa del pensiero di Dossetti che ben si collega ad una autentica sensibilità liberale, anzi direi che ne è il distillato: “Dossetti intervenne sostenendo che nella Costituzione doveva essere affermato un principio cardine, che segnasse una cesura col passato regime fascista: il riconoscimento dell’anteriorità della persona umana rispetto allo stato, che si realizza..etc”. Forse non annovererei Dossetti fra i campioni del pensiero liberale (tant’è che ho…abbreviato la citazione) ma l’affermazione (così come riferita da Bernabei ed isolata dal contesto) mi pare l’epitome del liberalismo (direi di un liberalismo cattolico), almeno come lo intendo io; una sorta di discrimine fondamentale, dal quale dipendono via via tutti gli altri.
Col conforto di queste letture – come dicevo all’inizio – sono riuscito a limitare l'attenzione che, invece, sarebbe stato giusto dedicare ad alcuni fatti che segnalano una indomabile (e pericolosa) irrequietezza del nostro mondo: dalle bravate Nord Coreane ai significativi fatti di Colonia, dai problemi delle frontiere interne Europee alla “febbre” cinese, per tacere dei torbidi scossoni mediorientali. Temo però che, con la piena ripresa del normale corso dell’anno, dovremo tornare a riparlarne.
Roma 7 gennaio 2016



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