domenica 28 aprile 2019

Ebrei e Cristiani

Un testo esemplare
(di Felice Celato)
Quelli, fra i miei lettori, che conoscono le mie passioni culturali (e non solo culturali) si sarebbero sicuramente stupiti se, appena uscito, non mi fossi procurato il bel libro Ebrei e Cristiani (Ed. San Paolo, 2019) nel quale Elio Guerriero ha pubblicato (e introdotto) il carteggio intercorso fra il Papa Emerito Benedetto XVI e il Rabbino Capo di Vienna Arie Folger sul tema del dialogo fra Ebrei e Cristiani.
Non importa qui ripercorre la breve storia di questo recente carteggio, ancorché per diversi aspetti interessante; e, quanto al contenuto (molto “tecnico”, direi, dal punto di vista teologico e biblico), basterà qui fare un breve cenno ai punti trattati: il primo è quello della cosiddetta teoria della sostituzione, in forza della quale Israele sarebbe stato, appunto, “sostituito” dalla Chiesa (il nuovo Israele) come “portatore” eletto delle promesse di Dio (e quindi nella storia della salvezza); il secondo – sul quale in fondo si appoggia il primo punto – è quello della cosiddetta revoca dell’alleanza, cioè (per dirla con parole giuridiche) della “risoluzione” dell’alleanza, anzi delle alleanze che in tutto l’Antico Testamento sono state enunciate per caratterizzare lo speciale rapporto fra Dio e il popolo eletto; il terzo punto, ancora, è quello della promessa della terra concretamente riservata ai figli di Abramo come popolo storico. 
Su questi tre punti (ovviamente, come si vede, basati su secoli di speculazioni teologico-bibliche, sull’uno e sull’altro versante) Benedetto XVI getta una luce di serena “compressione” delle divergenze: da un lato, considerando separatamente gli elementi in cui si declina l’elezione (il culto, la legge, la morale, la terra promessa, l’annuncio del messia); dall’altro, riportando il concetto di alleanza a quello di testamento, per sua natura atto unilaterale (I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, Rm 11,29, non ostanti le rotture dell’alleanza o, meglio, non ostanti le colpe dei beneficiari di quel testamento). Per tali vie, quelle divergenze vengono ricondotte ad affinamenti interpretativi che avvicinano fortemente (con piena coscienza delle differenze) i termini più delicati delle quaestiones; più difficile, specie per alcune correnti dell’ebraismo contemporaneo, può risultare la distinzione, che Benedetto XVI ribadisce, fra aspettative storico-teologiche sulla terra promessa e aspettative puramente politiche del popolo ebraico in relazione al moderno stato di Israele. 
Ma c’è anche, infine, un quarto punto (che è ovviamente quello centrale) sul quale, invece, nessun serio accostamento fra le reciproche posizioni può essere tentato e del quale non gioverebbe ad alcuno attenuare la portata: la messianicità di Gesù (ovviamente ab origine negata dagli Ebrei) che direttamente implica anche una rilettura in chiave Cristologica dell’intero Antico Testamento (ovviamente assai impervia per gli ebrei). 
Come dicevo all’inizio, anche da questi sommari cenni estremamente contratti si percepisce la densità e la delicatezza della materie trattate nel testo (di cui raccomando la lettura solo ai lettori veramente interessati alla questione); però c’è un aspetto di fondo – solo apparentemente formale – che mi preme sottolineare e che è riflesso nel titolo di questo post: è vero che fra Ebraismo e Cristianesimo c’è un indissolubile legame di speciale fraternità abramitica (oltreché monoteista, naturalmente) e di larga comunanza di “fonti” (è noto che Bibbia Ebraica e Antico Testamento non sempre condividono la stessa “lettura” di tutti i testi sacri); come pure è vero che le secolari divergenze (anzi: ostilità, più di parte cristiana che di parte ebraica, va detto) sono state dure (e se ne notano ancora le tracce in alcuni passi dei testi del Rabbino Folger). Ma è anche vero che queste diversità possono esser trattate con sapienza, dignità e saldezza nella propria fede, senza stolidi tentativi di obliterare (o di nascondere) le differenze ma con piena disponibilità ad avvicinarsi e, dove possibile, trovare almeno comuni sentimenti, per comprendersi nella diversità e nella comunione del rispetto e del dialogo. Poi, come scrive Benedetto XVI, tenuto conto della natura delle divergenze che sussistono, è giusto pensare che, ad umana previsionequesto dialogo non porterà mai all’unità delle due interpretazioni all’interno della storia corrente, perché, in fondo, questa unità è riservata a Dio alla fine della storia.
Roma 28 aprile 2019



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